La mia esperienza con Dante.

dante commedia

Chi abbia più di sedici anni sa che nella vita, oltre alle quotidiane scelte su cosa fare e come comportarsi, vi sono dei bivi cruciali. Dalle persone più anziane che frequentavo, più di una volta avevo sentito dire che tra i quaranta e cinquant’anni, inevitabilmente si sarebbe presentato “il conto da pagare”.
Per mia formazione, proprio non concepivo “l’inevitabile”.
Invece è stato proprio così, per fortuna mia e di chi mi sta vicino.
Quando sulla mia testa si addensarono pesanti nubi, tutto faceva pensare alla tempesta perfetta.
Fu allora che mi ritrovai tra le mani la Commedia di Dante.
A differenza del Poeta però, non avevo i suoi appigli morali e tantomeno spirituali.
Forse K.G. Jung avrebbe potuto spiegare la fortunata sincronia.
A quel tempo pensai si trattasse di un generico interesse per la letteratura.
Affascinato dalle celebri terzine come da un dipinto impressionista, fui rapito dalla magia delle parole e dalla grandiosità delle allegorie. Forse proprio per il particolare momento emotivo, mi si svelò un messaggio morale e un’etica che non mi pareva così “medioevale” come avevo pensato fino ad allora.
Sentivo che questa lettura, fatta con voracità giornaliera ogni mattina prima di andare al lavoro, stava risuonando con qualcosa di arcano che però non riuscivo a cogliere.
Sempre a proposito di improbabili sincronie, l’incontro con un amico dell’adolescenza, non più frequentato per venticinque anni e col quale riannodammo l’amicizia anche con un paio di bei viaggi oggi impossibili, fu il vero punto  di svolta.
Di certo non era il mio amico, seppure intelligentissimo e con un’esperienza professionale di prim’ordine alle spalle, un tipo ascetico né propenso alla spiritualità.
Eppure fu proprio lui la chiave che aprì una nuova stagione della mia vita: stava incomprensibilmente per me,  frequentando un master all’accademia di Marco Ferrini.
Quello che mi mancava per approcciare il Dante di Firenze, incredibilmente l’ho trovato nell’India classica e nella Bhagavadgita inprovincia di Pisa.
Soprattutto però ammetto che se non avessi con umiltà accettato una guida , non sarei andato tanto oltre.
E qui siamo alla terza sincronia che a questo punto non potevo continuare ad attribuire al caso: il Maestro Marco Ferrini, che non solo manifestava uno straordinario interesse per Dante, ma era sua intenzione dedicarvi dei seminari in un raffronto con la Bhagavadgita.
Ciò mi convinse fin da primo incontro a iscrivermi al master in filosofia indo-vedica.
Il mio intento era quello di “capire”.
Col tempo ho realizzato che quel “capire” era il mio processo di trasformazione alchemica.
Si perché Dante non si capisce fino in fondo se non ci lasciamo accompagnare nei tre regni come il Poeta ha fatto con Virgilio prima e Beatrice poi. Cioè trasformandosi.
Ma prima bisogna entrare nel mondo “alchemico” di Dante. Ciò non è possibile senza conoscere l’onnipresente simbologia della Commedia.
Per interpretare però il senso più alto, quello che il poeta stesso chiama “anagogico”, è necessario un mutamento interiore, capace di accogliere il messaggio della “Grande Opera”.
Avevo letto Guènon e altri, ma ero sempre rimasto sulla soglia.
Se ho la presunzione di aver colto anche solo una piccola particella del difficile e meraviglioso viaggio dantesco, lo devo in gran parte alle fortunate sincronie di cui ho parlato. In particolare alla possibilità di partecipare ai tredici seminari sulla Bhagavadgita col Maestro Marco Ferrini.
Ho bollito a lungo nel mio athanor (crogiuolo alchemico) e non so veramente se sia “cotto” al punto giusto.
Quel che posso confermare è lo stesso sentimento di Dante nel primo canto quando, ancora ansante, esce dal mare in tempesta e, giunto a riva, si volge e scruta il pericolo scampato.
Essendo queste tra le prime terzine del poema, sto pensando quanto cammino ancora m’aspetta.
Solo un penoso riduzionismo può lasciar intendere che un dignitoso cammino esistenziale possa essere intrapreso con la sola conoscenza teorica, senza una guida e un sistema di regole collaudate che si tramandano come “disciplina”.
Ognuno è responsabile della propria vita, può essere un peso o un volare leggero, ma quello che da secoli fa vivere questi due capolavori della Tradizione è il pilastro su cui entrambi poggiano: il libero arbitrio.
Infatti la mia iniziale preoccupazione di “attualizzare” le due opere, si è trasformata nella sfida ben più produttiva, vivace e divertente, di rendermi io stesso “attualizzato” a loro.
Graziano Rinaldi  

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