Il saggio può comprendere lo stolto, non il contrario.
(Quarta lezione di Marco Ferrini al seminario 2010 Isola d’Elba)
“E quale che sia l’essenza divina, pensando alla quale
un uomo abbandona il suo corpo alla fine,
proprio quella egli consegue, o Arjuna,
poiché sempre è stato assorto in quel pensiero.” C’è un passo nel Purgatorio, in cui Dante parla di un guerriero che all’atto di morire, colpito in battaglia, si raccoglie e si pente all’ultimo momento, garantendosi così dal non finire all’inferno.
Come può un abbandono così tardivo impedire la dannazione eterna?
Nell’opera dantesca potremmo riferirci alla grazia ed alla grandezza della misericordia divina, ma c’è qualcosa di più.
Intanto la “conversione” non ha a che vedere col tempo e con lo spazio proprio perché appartiene alla dimensione dello spirito. Ma un’altra considerazione mi spinge a pensare che la grazia non sia un’incomprensibile concessione.
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