Fuori o dentro al recinto sacro?

        Samskara è una rara parole sanscrita che pur avendo due significati completamente diversi, si scrive e si pronuncia allo stesso modo, può tradursi infatti sia come elementi psichici inconsci condizionanti, oppure come sacramenti, es. battesimo, matrimonio ecc. In un momento nel quale distinguere la realtà dalla propaganda può essere arduo, c’era da immaginare che l’ultimo seminario del maestro Matsyavatara Prabhu fosse dedicato alla scoperta di ciò che impedisce una chiara visione della realtà, i condizionamenti inconsci appunto. E invece ha trattato dei “sacramenti”: il bello di seguire un maestro esperto è quello di mantenere lo stupore anche dopo tanti anni di frequentazione.
Nella tradizione di cui è portavoce Matsyavatara Prabhu, i samskara rappresentano la celebrazione dei passaggi più importanti che l’essere o, teologicamente parlando, “l’anima”, può affrontare durante la sua esperienza mondana, dalla fecondazione all’uscita dal corpo. Lo scopo dei samskara-sacramenti, è quello di ricordare alla persona e alla comunità che tutto ciò che avviene d’importante in terra, ha un corrispettivo molto più ampio in cielo, il “sacro” appunto. Non si tratta della semplice sottolineatura di un evento importante per la vita di una persona, piuttosto consiste nell’agganciare la finitezza umana a una dimensione immensamente “altra”, a prescindere dal tempo e dallo spazio in cui si consuma l’esistenza umana. Infatti il significato proprio di “sacro” è “altro”, per distinguerlo dal profano (pro-fanum), letteralmente “ciò che sta fuori dal recinto sacro”. Ed è proprio questo “altro” che viene ricordato all’uomo e alla donna della tradizione tutte le volte che la vita chiede o impone cambiamenti decisivi all’essere, quali nascita, passaggio all’età adulta, appartenenza ad una comunità, matrimonio, morte. L’India classica, nella sua tipica abbondanza (maha), ha elaborato dieci samskara, alcuni imprescindibili, altri secondo la libera scelta della persona, ma tutti con lo scopo di accompagnare la persona in un percorso esistenziale ordinato ad un unico fine: tornare alla nostra natura originaria, al Sé, al vero io, teologicamente a Dio. Così il misticismo cessa di essere un’adesione acritica ad una credenza, per sostanziarsi nella vita concreta della persona, la quale, attraverso il rito, unisce ciò che sta “fuori dal recinto sacro” con ciò che sta dentro, in un’unione che dà senso al nostro breve passaggio su questo pianeta.
Si può legittimamente dubitare di questo tipo d’esperienza, invito però a considerare che qualsiasi società organizzata, esprime i propri valori attraverso strutture di pensiero mitologiche e ritualità laiche formalmente identiche a quelle religiose. Questo non perché i laici “copiano” i religiosi, ma semplicemente per il fatto che la mente umana non può non dare un senso alla vita, ed è per questo che sempre produrrà una mitologia con una ritualità atta a rafforzare il mito.
Ecco allora che sorprendentemente, la parola samskara ci invita a considerare la sua doppiezza di significato come un allarme: se i “sacramenti” non saranno celebrati e vissuti come ricongiunzione alla dimensione del sacro, la nostra mente sarà occupata da qualcosa di altro sostitutivo che una volta insediato nella profondità delle convinzioni mentali, creerà un pesante “condizionamento” della personalità.
Così come i samskara-condizionamenti ci legano a false credenze, rendendo la vita un percorso a ostacoli difficile da sopportare, i samskara-sacramenti bonificano il campo mentale e aiutano a disintossicarci dalle false credenze per approdare all’esperienza del Sé.
E questo è anche il motivo per il quale nel capitalismo del controllo totale, auspicato dai nuovi sacerdoti del post moderno, si auspica l’uscita dal sacro per entrare nella tracotanza tecnologica dell’Homo Deus

Graziano Rinaldi

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