Tra gli innumerevoli spunti dall’ultimo seminario del maestro Marco Ferrini, ne traggo uno: il gigantesco potere che ogni tradizione autorevole attribuisce alle parole che, permettendo la formazione dei concetti, costruiscono la realtà profonda individuale e collettiva degli esseri umani.
Oggi sappiamo che le parole provocano importanti modificazioni dei circuiti neuronali. Ma anche senza gli esperimenti delle neuroscienze, il pensiero tradizionale di qualsiasi epoca e di ogni dove, aveva ben chiare le potenzialità trasformative delle parole sulla mente. Non casualmente Gesù di Nazareth è stato considerato Esso stesso “Parola Vivente” (logos); nell’Antico Testamento Mosè ha dovuto scrivere nella roccia le parole importanti per farsi intendere dai suoi compagni idolatri; per non citare i dialoghi socratici e la tradizione upanishadica del subcontinente indiano, nelle quali il maestro insegna e trasforma il discepolo con la potenza della parola (vac=parola creatrice) e della sua coerenza etica.
E oggi?
E’ la stessa cosa di sempre: noi umani viviamo e moriamo di parole.
Le parole infatti possono curare la mente e il corpo, ma possono anche renderci disperati e fisicamente ammalati. Cos’altro vorrà dire “la verità vi renderà liberi” o il sanscrito “Satya Yuga” (età della verità), se non che dalla parola veritiera deriva l’ordine più vicino alla purezza e alla felicità dell’essere? In cosa consiste la luce, metafora della pienezza della vita, per i cavernicoli platonici se non nel disvelamento dell’inganno?
La ricerca scientifica ci conferma che certi farmaci possono essere potenziati o agire con le stesse modalità biochimiche delle parole, dimostrando l’errore cartesiano di voler separare in modo troppo radicale res cogitans e res extensa, realtà psichica e realtà fisica. Le parole sono i nostri artigli e zanne, la nostra prima “tecnica” che ha consentito di costruire e distruggere civiltà, di amare e di odiare, di trasformarci in ottenebrati o in illuminati, sono le parole i nostri principali strumenti di evoluzione o di regressione. Attraverso le parole si costruiscono e si comunicano le idealità che ispirano e vivificano la parte più nobile dell’essere umano, con parole diverse, queste alte idealità vengono trasformate in ideologie, adatte a mantenere lo status quo nelle società di massa di tutti i tempi. Pochi discernono, molti cadono nell’illusione dei piaceri effimeri e delle comodità, attratti dall’irresistibile forza magnetica dell’ignavia e del pigro conformismo.
Di cosa si servono i signori del mondo per mantenere il loro dominio malato di avida follia suicidaria?
Come può essere accettato un modello di umanità in permanente stato di terrore tra un’emergenza e l’altra, se non instillando la disperazione e il nichilismo? E’ possibile grazie all’uso di parole menzognere, basate su ideologie svuotate di ogni alta idealità, manipolate e diffuse nell’etere grazie alla potenza di una civiltà autocratica e militarista ormai al collasso che deve ricorrere a ogni tipo di soprusi: censura, violazione dei corpi e dei diritti fondamentali, guerra, immiserimento.
Gli zombie collaborazionisti, i dominati tra i dominatori (gli intellettuali organici al potere, attualizzazione della classe bramanica degenerata e ottenebrata) s’impossessano di ogni parola che potrebbe costituire un germe di liberazione e di verità, la manipolano e la reimmettono nel discorso, intatta nella lettera e opposta nel significato. Dovremmo stilare una storia del vocabolario e del suo travisamento, a partire dalle parole libertà, uguaglianza, amore, pace, cibo… ecc. Per tutti valga l’esempio della giusta preoccupazione per lo stato del nostro pianeta. Ciò che era “verde”, adesso è “green”, è rimasto il nome, ma il senso non è più umanistico, bensì economicistico, ovvero dall’amore per la vita alla necrofilia.
Siamo nell’era della menzogna strutturale, dove l’informazione è propaganda e l’educazione dei giovani è condizionamento al conformismo. Proprio per questo ci vogliono uomini e donne resistenti, forgiati nella fucina di una dittatura che ai più appare invece come una crisi di sistema, quest’ultimi, consciamente o meno, ignorano, rimuovono, giustificano e accettano ogni offesa, sia essa nei confronti del nostro ordinamento costituzionale o al proprio corpo, ciò può accadere solo perché sono disperati, ovvero, letteralmente hanno perso la speranza di un’alternativa, di un nuovo modo di essere che parte dal sé e arriva al collettivo, gioiosamente, come insegnano i grandi maestri.
Graziano Rinaldi
Carissimo Graziano,
se nella Preistoria il motto: “nullius in verba” (Orazio- Royal Society, cfr.) poteva avere una sua ragione sulla esplorazione diretta della Natura; nel corso della Storia, il linguaggio ha veicolato civiltà straordinarie
verso nuove scoperte e conoscenza dell’esistenza, come d’altro canto, ha creato sperequazioni e diseguaglianze la “manipolazione” delle parole, foriere di potere e disinformazione. Per quanto mi compete, in ambito scolastico, apprendere per metacognizione, significa allenarsi nella “palestra dell’incertezza”, dove l’uso delle parole dovrebbe avere la funzione di scardinare le resilienze di pregiudizio e valorizzare, altresì, le identità dei giovani, dove il significato e significante vengano vissuti, genuinamente, secondo il proprio percorso di vita. Forse, le future generazioni, troveranno le giuste parole per mantenersi onesti con se stessi e responsabili verso gli altri.
Un caro abbraccio,
Mario
Haribol!!
Ti ringrazio per le riflessioni, un caro saluto a voi, da un’isola ad un’altra.
Mauro & Omero 🐶