Primo Libro
Capitolo 4
Prima di chiedere a Suta Goswami di esporre il Bhagavata Purana, Shaunaka muni descrive la potenza spirituale di Shukadeva Goswami con un episodio della vita del santo narratore, figlio di Vyasadeva, allorché, passando nudo vicino a giovani ragazze che stavano facendo il bagno nel fiume, queste non ebbero alcuna reazione, mentre quando passò il padre, lui stesso un avatara, corsero a coprirsi. Interrogate sulla differenza nel comportamento, le ragazze risposero che in Shukadeva si poteva scorgere l’anima oltre le coperture del corpo, mentre in suo padre, uomo di famiglia, si vedeva la distinzione tra maschile e femminile.
Nel capitolo precedente era già stato detto che Shukadeva G. non aveva avuto bisogno di nessuna cerimonia liturgica per la sua vita da sannyasi, era nato nella purezza e successivamente si dirà che era difficile riconoscere la sua saggezza perché, vagando nelle province di Kuru e Jangala aveva l’aspetto di un pazzo, privo d’intelligenza e muto. Ma i saggi lo riconobbero senza indugi, accogliendolo come oratore nel loro consesso sul Gange per spiegare al re Parikshit il senso della vita e della morte.
Prima di esporre il contenuto del Bhagavata Purana, il redattore, Vyasadeva, si preoccupa di mostrare la sattvicità e la visione tradizionale sia delle voci narranti sia del destinatario del messaggio, re Parikshit, del quale viene descritta la potenza e l’adesione al dharma di kshatrya:
“Coloro che sono votati alla causa del Signore Supremo vivono solo per il bene, il progresso e la felicità altrui; essi non perseguono scopi personali. Quindi, sebbene libero da ogni attaccamento per le cose di questo mondo, come l’imperatore Parikshit potè lasciare il suo corpo materiale, diventato un rifugio per gli altri?” (verso 12) In questo verso risiede la luce di una grande civiltà, dove il ruolo sociale è proporzionale alla responsabilità individuale, intensamente vissuta in ogni particella del corpo e della psiche. La domanda dei saggi infatti non chiede meramente perché l’imperatore Parikshit lasci il corpo, ma com’è possibile visto che era “rifugio per gli altri”.
Shrila Prabhupada commenta:
“Poiché era un devoto, sapeva regnare in modo che tutti <uomini, animali e piante> vivessero felici”.
Notare l’estensione della misericordia a tutti gli esseri viventi, non solo agli umani.
Il verso 16 invece ricolloca la narrazione all’interno di forze cosmiche “che agiscono nel corso del tempo e lo turbano”, intuibili dai grandi saggi in funzione della loro realizzazione spirituale. Sincronie misteriose, tessiture del tempo che scorre inesorabile per la vita di ogni singolo essere come per interi universi.
Microcosmo umano e universo pulsano di una sincronia che si svela ai grandi saggi come Vyasadeva.
A queste forze telluriche, l’ottenebrato cerca inutilmente rifugio nell’immanenza.
Al contrario della modernità che, in contrapposizione ad un futuro radioso vede nel passato oscurità e ignoranza, qui, come in tutte le antiche tradizioni pre-cristiane, l’epopea umana percorre il tempo verso un progressivo degrado, che nella visone vedica è destinato all’azzeramento nel punto più basso, per poi essere di nuovo emanato al suo livello superiore, in un ciclo senza tempo.
Vyasadeva è colui che, consapevole del degrado delle coscienze nell’era di Kaly, semplifica le scritture per agevolare il percorso spirituale dei fragili umani della nostra era, come dovrebbero fare gli autentici maestri spirituali che declinano gli antichi insegnamenti, la Tradizione, secondo i tempi e i luoghi.
Vyasadeva affiderà il suo lavoro a una successione di discepoli col compito di diffondere i Veda. Nasceranno così tante scuole che nutriranno innumerevoli generazioni di risvegliati. Come l’intera creazione emana da un’unica unità, anche i Veda e tutto ciò che ad essi si riferisce, nasce da un nucleo originario che si dirama nelle tante linee della tradizione vedica.
Nel verso 25, dove si parla della compilazione del Mahabharata da parte di Vyasadeva a vantaggio “delle donne, dei shudra e dei figli di brahmani non degni dei loro padri”, potremmo trovare un attrito rispetto alla mentalità contemporanea. Il commento di Shrila Prabhupada mantiene la posizione tradizionale, molto diffusa anche alle nostre latitudini fino a pochi decenni orsono, ma come il Cristo non ha fatto distinzioni di genere o di rango sociale, così la Bhagavadgita, sintesi e rinnovamento dei Veda all’interno del Mahabharata, e lo stesso Bhagavata Purana ci confermano, non lo status, ma la devozione è la vera discriminante per la salvezza individuale:
“affinché anche le donne, i shudra e altri, possano scorgere il sentiero del dharma”
Shrila Prabhupada, consapevole della rapida decadenza di Kaly yuga, dove pochissimi s’impegnano sul sentiero del dharma, ha ben presente che: “In questa era, il Mahabharata svolge un ruolo più importante dei Veda originali”, proprio per la sua capacità di catturare il cuore di un’umanità come la nostra.
Quel che chiude il capitolo ne è anche il cuore: il senso di insufficienza che Vyasadeva prova dopo il sovrumano lavoro di riscrittura e adattamento sia dei testi della rivelazione che della Tradizione. Proprio questo vuoto e insoddisfazione, legato a un’alta esperienza spirituale, determinerà l’arrivo della soluzione, Narada muni, messaggero del bhakty yoga.