Negli stessi giorni in cui a Roma si svolgeva la fiera dell’ipocrisia al più alto livello mondiale, il G20, in un paesello della piana pisana, ho assistito all’ultimo seminario del maestro Marco Ferrini.
A un paio di giorni dalla sua conclusione, mi è più chiaro il significato del contenuto del seminario… in due parole è la differenza che c’è tra la realtà e la sua rappresentazione.
Chiunque non sia rimasto abbagliato dal lungo corteo romano di lucide auto blindate e dai sorrisi di circostanza dei partecipanti, non avrà difficoltà a capire che i potenti della Terra hanno messo in scena una luciferina liturgia a beneficio di masse umane sempre più manipolate e sofferenti.
La realtà che sta dietro a queste celebrazioni è, agli occhi di chi vuol vedere, un ordine mondiale basato sull’avidità.
Al seminario, neanche una parola è stata detta sull’evento romano, ma il Maestro, si sa, è sempre qualche passo avanti, così, attraverso le terzine dantesche, gli shloka della Bhagavadgita, i sutra di Patanjali, le narrazioni upanishadiche e puraniche, ci ha restituito una visione disincantata e lucida della contemporaneità, non solo, ci ha fornito anche gli strumenti teorici e pratichi per trarre dallo studio dei classici chiare indicazioni sul “come fare”.
Ci è stata indicata la via maestra per trasformare la nostra finitudine umana, in una potenza che non soggiace ad alcun ostacolo, indirizzando l’inevitabilità di qualsiasi crisi in un successo luminoso anziché in una depressiva sconfitta: nella misura in cui ci avvicineremo al senso autentico della disciplina yogica, troveremo spazi di libertà e d’azione anche nelle situazioni emotive e storiche più opprimenti.
Visto che in occidente yoga è identificato con ginnastica e respirazione, ricordo che yoga è piuttosto collegamento col Divino. Detto altrimenti, yoga è la disciplina che attraverso la pratica delle virtù (yama e nyama) consente di rendere sacra la vita su questo pianeta.
Applicandosi con costanza è possibile districare sempre più il velo dell’illusione, direttamente collegato a ciò che chiamiamo ingiustizia, la quale deve necessariamente usare la menzogna e la coercizione, la prima per ottenere il consenso, la seconda nei confronti di chi non si addomestica.
Lo studio dei classici è un sentiero già tracciato che si coniuga perfettamente con lo yoga, sarebbe sciocco e disecologico non praticarlo. L’apertura mentale e il senso critico che offre questa conoscenza, permette infatti di leggere la realtà in modo equilibrato, di sviluppare equanimità e giustizia verso tutte le creature e il creato. Questo “ambientalismo profondo” è incardinato sullo sviluppo di un’esperienza interiore che si manifesta nel mondo con parole e azioni che rincuorano e ispirano.
Vediamo ad esempio come a mio avviso potrebbe essere letta una relazione forse bizzarra, ma che a me pare sia emblematica del tempo che stiamo vivendo.
Se opponiamo il neologismo dantesco “transumanare” al sostantivo “transumanesimo” come lo intendono Elon Musk e i suoi sodali, avremo la grammatica per decifrare l’attualità e la sintassi per costruire la felicità nostra e un mondo più equo.
Transumanare e transumanesimo, indicano entrambi uno stato dell’essere, ma nonostante la somiglianza delle parole, hanno significato opposto, coerente coi differenti percorsi esistenziali e gli ambienti culturali e storici dei due.
Il verbo coniato per la prima volta da Dante, indica un’esperienza indicibile, non sensibile, l’attraversamento di una dimensione altra rispetto alla quotidianità che cambia il modo in cui percepiamo noi stessi e il mondo esterno. Si tratta di un risvegliarsi a nuova e più luminosa vita, è il raggiungimento di uno stato nel quale la morte e la vita non sono più separate, facendo così cadere la più grande delle paure.
Nel volgersi all’interiorità, Dante non perde nulla della realtà, al contrario ne acquista una visione completa e distaccata, come di un fuoco che non scotta.
Il transumanesimo di E. Musk è invece un ulteriore giro di catena alla prigionia del corpo, tutto proiettato nella dimensione sensibile, nell’ossessiva e triste gara con la morte. Potenziare l’umano con la tecnologia fino a scongiurare la morte attraverso un “passaggio di dati” dalla mente a un computer con l‘illusione dell’immortalità.
Ben vengano tutte le opportunità di migliorare la salute e la qualità della vita corporea, ma non saranno le nanotecnologie e le macchine per ibernare la memoria a renderci felici. Questa malsana idea nasce da una cecità selettiva tutta proiettata all’esterno. Una mente prigioniera di una tracotanza tipica di tutti gli umani ottenebrati che hanno calpestato questo pianeta: l’immortalità del corpo (o almeno della mente!).
Nel mito greco è Icaro, in quello vedico è Iranyakashipu, entrambi destinati a sbattere violentemente contro le eterne leggi della finitudo umana.
Dante invece, partendo proprio da questa insufficienza, raggiunge, dopo novantanove passaggi, la visione e la beatitudine dell’amor che muove il sole e l’altre stelle.
La promessa del transumanesimo si ferma all’esterno dell’essere, immagina un’illusoria salvezza affidata alla tecnologia, dove la scienza non è più un metodo, bensì la nuova religione alla quale è delegata contemporaneamente l’organizzazione e la gestione “razionale” del corpo fisico e di quello sociale, in altri termini il trionfo della biopolitica.
Graziano Rinaldi