Nel presente momento storico, la parola “libertà” sembra avere innumerevoli e contraddittori significati, il suo valore semantico si è talmente annacquato che ognuno la tira come gli pare. Per riallacciare alcuni fili del discorso, partirò da due autori e due opere della classicità, rispettivamente occidentale e orientale:
Dante Alighieri, la “Divina Commedia”, una formidabile sintesi in forma poetica della filosofia e della civiltà occidentale, attualissima sorgente di feconda ispirazione per chiunque desideri vivere da uomo e donna libera.
Patanjali, Yoga Sutra, centonavantasei sintetici aforismi di filosofia e prassi per gli esseri umani che aspirano alla libertà come viatico alla realizzazione spirituale.
1). Dante Alighieri.
Scandalosamente, a guardia del Purgatorio Dante mise Catone l’Uticense.
L’ortodossia cristiana prevedeva infatti che un suicida venisse relegato all’inferno senza se e senza ma, certamente non in un luogo dove potersi purgare per poi salire al paradiso celeste.
E’ noto che Dante poco si curava dell’ortodossia della Chiesa di Roma.
Catone si era tolto la vita dopo essere stato sconfitto da Cesare, quindi col passaggio dalla repubblica all’impero: combatté, fu sconfitto, si suicidò.
Catone era uno stoico(1), aveva coltivato quelle virtù che più tardi i cristiani chiameranno “cardinali”, poiché danno la giusta direzione ad una vita ben vissuta. Per Dante il suicidio di Catone, lungi dall’essere una debolezza, manifestava piuttosto la grandezza di un animo nobile e di un’eroica coerenza morale.
Nonostante a quel tempo la prudenza verso le gerarchie ecclesiastiche consigliasse il contrario, Dante pensava che nessuno meglio di Catone potesse rappresentare il regno di mezzo, quello in cui “l’umano spirito si purga e di salire al cielo diventa degno.”
A differenza dell’inferno e del paradiso, il purgatorio è un regno di passaggio e il transito avviene attraverso lo sforzo di ogni singolo penitente. La purificazione consiste nella conoscenza dei propri vizi e nella contemplazione di chi ha praticato le virtù opposte.
Catone si presenta come guardiano burbero(2) che stimola i penitenti a non perdere tempo, è il maestro di un passaggio che conviene percorrere velocemente.
Catone è soprattutto l’uomo che sa rimanere coerente anche di fronte alle situazioni più atroci: pur di non rinunciare ad una vita dignitosa è disposto a rinunciare alla vita stessa e questo è anche il motivo del viaggio di Dante nell’oltretomba, rivelato a Catone attraverso Virgilio:
“Libertà va cercando, ch’è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta”.
Dante si inserisce così nella poderosa tradizione occidentale dello svelamento delle false verità che permette il moto di risalita verso la luce, com’è stato prima nel mito platonico della caverna, poi nel cristianesimo(3), nell’illuminismo, nella psicoanalisi, passando per il misticismo medioevale e Karl Marx(4).
Lungo tutta la storia del pensiero occidentale pulsa l’antitesi vita/libertà così come ci viene presentata da Catone, il quale insegna che la vita degna d’essere vissuta è quella che non cede progressivamente le sue parti, come la socialità, i diritti, la cultura, la disponibilità del corpo. In definitiva Catone ci dice che o la vita è libera o non è vita, poiché la vita umana non risponde alla mera biologia(5). Tra i nostri contemporanei illustri, in molti hanno ribadito lo stesso concetto, sottolineando la strumentalizzazione dell’emergenza sanitaria da parte delle élites internazionali che in nome della sicurezza hanno violentato lo stato di diritto ed instaurato un regime di biocontrollo, attraverso falsità e propaganda attuate dai media: “Una società che vive in perenne stato di emergenza non può essere una società libera. Noi di fatto viviamo in una società che ha sacrificato la libertà alle cosiddette <ragioni di sicurezza> e si è condannata per questo a vivere un perenne stato di paura e insicurezza”.(6)
2). Con Patanjali facciamo un lunghissimo salto nel tempo e nello spazio che può “fa tremar le vene e i polsi”. In rapsodica sintesi, vorrei evidenziare ciò che sul piano della concezione della libertà, accomuna e differenzia questi giganti del pensiero umano.
Che cosa sia la libertà per Catone/Dante l’abbiamo visto: se il purgatorio è il luogo dove si sale con fatica per liberarsi dai vizi che hanno afflitto la vita incarnata, allora proprio questi vizi(7) saranno il peso che rende la vita umana non-libera, ovvero per Dante libertà significa libertà dai vizi.
Per Patanjali la libertà consiste nel liberarsi da tutti i condizionamenti, familiari, sociali, di status, ecc. per ritrovare quell’essenza della personalità su cui poggia una struttura posticcia chiamata ego.
E come si fa secondo Patanjali a “purgarsi” di questa superfetazione?
In otto fasi, partendo da cosa non si deve fare e cosa invece è necessario fare(8) per spogliarsi proprio di quei pesi che impediscono il distacco dalle cose mondane e l’azione equanime nel mondo, al fine di raggiungere l’assorbimento nella profondità silenziosa del Sé (samadhi): questa è la cifra dell’Ashtanga yoga (yoga classico in otto fasi).
Vero è che in Dante/Catone palpita forte un accento sulle libertà civili che in Patanjali non è presente, è invece identica in ambedue, l’idea di una incondizionata libertà interiore e di una inamovibile moralità a prescindere dalle circostanze.
Per la liberazione dai condizionamenti e dai vizi, è necessario uno sforzo simile, sia nel purgatorio di Catone sia nello yoga di Patanjali.
Il pilastro su cui poggiano entrambi i sentieri, è l’impegno a disciplinare i sensi ed eliminare gli ostacoli lungo il cammino di una vita umana pienamente vissuta. I sette vizi capitali della dottrina cristiana e i condizionamenti esposti negli yoga sutra, manifestano una straordinaria connessione che per motivi di spazio non posso sviluppare, mi limito a segnalare che sia Dante sia Patanjali insegnano il cammino “razionale” e alchemico per ripulire i sensi e la mente, in altri termini per riconquistare la vera libertà dell’essere.
Virgilio accompagna Dante fino alla sommità del purgatorio, adesso che “libero, dritto e sano è tuo arbitrio” il discepolo possiede la purezza e la libertà necessaria per proseguire con le sue gambe verso un’altra dimensione, quella del sacro, verso la visione di Dio.
Patanjali da parte sua accompagna il praticante lungo un percorso iniziatico che presuppone costante disciplina e ascetico autocontrollo, molto vicino alla filosofia stoica, fino ad uno stato di libertà dai condizionamenti che permette l’accesso al sacro.
Sia Dante che Patanjali ci dicono che, a causa delle tante variabili che determinano la storia e il carattere delle persone, questo percorso si fa da vivi e che sarà diverso per ognuno. In tutti i casi non si può andare direttamente alla sommità di quel colle illuminato che stava dando così tanto sollievo al pellegrino prima d’incontrare le tre belve; è necessario incontrare prima gli antichi spiriti dolenti… e color che son contenti nel foco.
Patanjali, nel XXXII sutra del Sadana Pada, indica come ultima e fondante tra le cinque prescrizioni Hishvarapranidhanani, traducibile come “abbandono a Dio”, ovvero rinunciare a soddisfare le inesauribili richieste dell’ego per rimettere la propria esistenza nei binari di qualcosa di più importante ceh la soddisfazione dei sensi, attraverso una pratica spirituale ininterrotta (abhyasa) e un distacco emotivo (vairagya) da quei “vizi/condizionamenti” che impediscono il cammino.
Patanjali in definitiva ci indica come mettersi a squadra col dharma, l’ordine cosmo-etico universale che permette di sintonizzarsi con l’ulteriorità del sacro.
Nelle ultime terzine del suo capolavoro Dante, dopo un interminabile viaggio che si snoda per novantanove canti, finalmente riesce a “ficcar lo viso per la luce etterna”, ma si può descrivere l’esperienza mistica? L’opinione di Dante che le parole le sapeva usare, è no: “Oh quanto è corto il dire e come fioco al mio concetto!” Concludendo: “A l’alta fantasia qui mancò possa(forza)”, quello che ci ha lasciato è una mappa per accompagnarci sulla soglia del Divino.
Come Patanjali negli yoga sutra.
Graziano Rinaldi
(1)“filosofi molto antichi… credettero questo fine de la vita umana essere solamente la rigida onestade; cioè rigidamente… la verità e la giustizia seguire, di nulla mostrare dolore, di nulla mostrare allegrezza, di nulla passione avere sentore. E deffiniro così questo onesto: quello che sanza utilitade e sanza frutto, per sé di ragione è da laudare. E costoro e la loro setta chiamati furono Stoici e fu di loro quello glorioso Catone”.
Convivio IV, VI 9-10.
(2) “Catone è la figura in cui il Poeta attua uno dei lati del suo ideale etico: la rigida rettitudine, l’adempimento dell’alto dovere, che par non possa compiersi… senza rivestirsi di una certa asprezza, senza l’abito ritroso e alquanto diffidente di chi vigila sempre su se stesso e sugli altri”.
Benedetto Croce. “La poesia di Dante”, Bibliopolis 2021.
(3) Gesù allora disse a quei Giudei che avevano creduto in lui: “Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi…In verità, in verità vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato”
Giovanni 8,31-32
(4) Da K. Marx ad Antonio Gramsci, fino a Pier Paolo Pasolini, il modo di produzione capitalista, frutto di un preciso processo storico che ha avuto un inizio ed avrà una fine, viene percepito dai contemporanei come “naturale”. Sia i dominati che i dominanti aderiscono così ad una falsa rappresentazione della realtà che comporta una “mercificazione” delle relazioni, tale da “alienare” l’individuo dalla verità dei rapporti sociali e umani. Da sviluppare il parallelo tra il concetto di alienazione (l’essere fuori da sé) nel giovane K. Marx dei Grundrisse e nel Samadhi Pada di Patanjali.
(5) Gli antichi greci avevano due termini per indicare la parola “vita”: zoè e bios, la prima indicava la mera vita biologica, come quella degli altri animali e delle piante, con bios i greci intendevano la vita come relazione col mondo, l’esistenza umana che ha un senso nel tempo e nello spazio.
(6) Giorgio Agamben. “A che punto siamo” pg. 27 ed. Quodlibet
(7) Ripassiamoli: superbia, invidia, ira, accidia, avarizia, gola, lussuria.
(8) Vedi Yama e Nyama.