Una cara persona mi ha detto che “In questa enciclica non si parla mai di Dio!”, dando così una spinta decisiva al mio desiderio di leggerla. “Fratelli Tutti” non è un trattato di metafisica per raffinati teologi, mi pare che come la precedente, “Laudato Sì”, abbia per alcuni cattolici un poco impietriti, il difetto di rivolgersi, nel linguaggio e nella sostanza, a un pubblico più ampio degli intellettuali e degli stretti osservanti.
L’accusa più comune è di voler piacere al mondo. Come? Cedendo su principi non negoziabili e spostando la tradizione bi-millenaria del cristianesimo ad un piano orizzontale di compromesso col mondo secolarizzato e materialista, soprattutto attraverso il dialogo e l’accoglienza, nientemeno che verso altre fedi religiose.
Chi auspica il ritorno ad una Chiesa prima del Concilio Vaticano Secondo, vorrebbe vedere ripristinato, insieme ad una liturgia tradizionalista, quel muro protettivo verso il mondo che l’identità cattolica garantirebbe se riportata alle antiche origini, sull’interpretazione delle quali mi permetto di dubitare e dissentire.
Dall’altra parte stanno quelli che considerano Francesco un papa populista, incapace di scuotere le coscienze, talmente proiettato sul piano sociale ed esteriore di chiesa/istituzione da aver perso la realtà dello Spirito interiore, e su questo mi pare ci sia confusione tra “popolarità” della persona e spiritualità della stessa.
Mi par di capire che mentre da una parte s’invoca un ritualismo e un dogmatismo auto-protettivo e identitario, dall’altra si richieda una maggiore radicalizzazione del sociale in chiave anticapitalista. Sono visioni legittime entrambe e chi le professa pagandone sulla propria pelle le conseguenze, dovrebbe avere il diritto di esprimerle liberamente (a questo serve uno stato liberale e democratico).
La mia umile opinione nasce da un percorso spirituale fatto non all’interno della Chiesa Cattolica, pertanto lungi da me ogni giudizio sulla fede e sui credenti. Osservo che da cittadino italiano ed europeo, non posso dirmi estraneo alla cultura cristiana (ne ho parlato in questo post: “Perché non possiamo non dirci cristiani”
Da quel che nel mio piccolo ho capito dell’enciclica “Fratelli Tutti”, non ho avuto l’impressione di un papa che non parla di Dio.
Capiamoci però sul significato di “parlare di Dio”.
Andando alle fonti, Mosè, figura mitica o reale non importa, considerato dai tre monoteismi medio orientali (ebraismo, cristianesimo e islam) come “il” o uno dei maggiori profeti, parla direttamente con Dio, anzi è Dio che gli parla, lui era piuttosto riluttante e sembra non avesse grandi capacità oratorie, consegnandogli le regole (etico/religiose) a beneficio dei suoi seguaci.
Spero che tutti ricordino cosa ha fatto Mosè: ha guidato un intero popolo, schiavo in Egitto, verso la Terra Promessa, la libertà. Ricordiamo anche che gli egiziani non erano contenti di questa fuga: è stata la prima rivolta sociale trascritta in un libro sacro.
Gesù, altro profeta ebreo molto attivo in Palestina negli ultimi tre anni della sua vita, ha annunciato un mondo nuovo che ribaltava le radici antropologiche di quello antico, con la sua strana dottrina dell’amore e del perdono, assolutamente inconcepibile in una società schiavista e rigidamente gerarchica.
“La via verso la fonte” islamica sono prescrizioni civili e religiose che Maometto dovette darsi una volta stabilito a Medina. Un profeta riformatore, fondatore di una nuova religione che infiammerà milioni di persone in pochissimo tempo. Ai nostri antenati era così chiaro che Maometto fosse nella linea profetica di Mosè e di Gesù che Dante lo mise nell’inferno tra gli scismatici, rispetto alla cristianità ovviamente.
Se penso agli antichi greci, ricordo divinità che rappresentano le passioni e i sentimenti umani, essi erano deputati a ricordare il giusto limite all’attività dei mortali affinché non cadessero nell’hybris (ribellione contro l’ordine naturale e umano), bensì agissero secondo misura.
Infine la mia frequentazione dei testi vedici, mi parla di un Dio (l’induismo sembra un politeismo, ma non lo è!) che conduce il suo discepolo prediletto in una sanguinosa battaglia per la giustizia e la libertà (dharma).
Non conosco l’epopea di Odino e di suo figlio Thor che tanto entusiasma il mio giovanissimo nipote, le tradizioni religiose a mia conoscenza mi parlano però di un viaggio dell’uomo (e della donna, spesso trascurata nelle tradizioni antiche e moderne) verso quella libertà che bene esprimono quattro opere d’arte, conservate alla Galleria dell’Accademia di Firenze, i Prigioni di Michelangelo, metafore dello spirito nel tentativo di liberarsi dal peso della materia “e di salire al cielo diventa degno”.
Le tradizioni religiose che io conosco parlano del mondo come socialità e strumento da usare con sapienza, dell’essere umano che non nasce “imparato” e che deve acquisire la conoscenza per usare questo mondo al fine di trascenderlo, ma prima deve viverlo secondo misura (greci), nella grazia di Dio (i tre monoteismi medio orientali), nel dharma (induismo e buddhismo).
Perché dunque Papa Bergoglio non parla di Dio?
Che forse Gesù non ha “usato” il mondo per il “Padre”? Quali sarebbero gli altri “strumenti” per allevare ed elevare la nostra coscienza alla libertà?
Il viaggio dell’essere umano dalla nascita alla morte, altro non è che una tensione tra forze contrapposte alla continua, talvolta disperata, altre volte deviata, ricerca della libertà, poiché libertà e benevolenza sono il nostro unico e vero trampolino verso l’amore.
C’è però un modo sicuro per bloccare questo viaggio verso la vera libertà: rinchiudersi nel proprio ego, magari in compagnia di altri ego solipsistici, allietati da splendide liturgie e dogmi intoccabili.
Graziano Rinaldi.