Un rito che rafforza e dona leggerezza

vyasapuja

Pur seguendo da molti anni il Maestro Marco Ferrini (Matsya Avatara), non avevo mai partecipato al suo vyasapuja.
Vyasapuja è un rito durante il quale, nella data intorno al compleanno del loro guru, i discepoli e i seguaci manifestano la loro gratitudine e fanno gli auguri al proprio maestro leggendo una lettera a lui dedicata.
Niente di che, pensavo: ascoltato uno ascoltati tutti.
Con grande sorpresa ho invece scoperto che è esattamente il contrario.
Per diversi motivi.
Quello che mi pare più importante è che per molti partecipanti scrivere e leggere la lettera significa mettere a nudo il proprio cuore. Qualcosa di estremamente commovente.
Una sorta di abreazione dove si sciolgono nodi che da chissà quante vite la persona si portava dietro.
Immagino da profano che la stessa “cura” in termini laici di psicoterapia, comporterebbe tempi e spese ben superiori e non sono sicuro che sortirebbe lo stesso effetto.
Altro che “visto uno visti tutti”!
Mi sono chiesto il motivo per cui ho partecipato con inaspettata attenzione alle letture.
Diciamo che ho partecipato in modo emotivamente attivo, e quando la persona si commuoveva mi commuovevo anch’io, quando piangeva, ebbene sì, ho pianto anch’io.
Addirittura, dopo numerosi stimoli di persone fraterne, ho letto pure io un breve biglietto.
Ne avrei volentieri fatto a meno.
L’emozione mi spezzava la voce e mi pareva di stare seduto sui carboni ardenti.
Strano.
Dopotutto ho solo parlato metaforicamente della pulizia che il Maestro e i suoi insegnamenti hanno fatto nella mia vita!
Altro segnale inquietante: a sera ero stanchissimo.
Immagino dipendesse dallo stress (benefico) col quale ho dato sfogo ai sentimenti che trovavano uno specchio nelle vite degli altri.
Proprio questo mi è piaciuto: realizzare quanto siamo uno e come la superbia pietrifichi il cuore.
Non mi riesce dirlo precisamente, ma la sento come una verità realizzata. E a scriverlo mi torna l’emozione come nel ricordo di un sogno.
Finalmente il canale lacrimale si è entusiasticamente riattivato ed è stato efficientissimo in più occasioni. Per esempio quando un caro amico, che raffigurerò fisicamente e psicologicamente come un guerriero in armi, ha dovuto interrompere più volte la lettura a causa di singhiozzi irreprimibili.
Se poteva permetterselo lui, chi sono io per impedirmelo?
Poi c’è l’aspetto ritualistico.
Ho sempre mantenuto le distanze da tutti i tipi di ritualità. Li sentivo come gusci pretenziosi e vuoti.
Immagino servisse l’emozione che ho provato per imprimerne il contenuto nell’animo.
Tutti noi, che lo sappiamo o meno, seguiamo ritualistiche più o meno strutturate.
Come la fede, che non è accettazione del mistero, ma coltivazione di una potenzialità, anche la ritualità nasce quando noi nasciamo.
Io la vedo così: quando i Veda parlano di Yajna (sacrificio), ci indicano diverse forme di ritualità per ricomporre ciò che nella vita abbiamo squadernato.
Mi rendo conto che non conosco vita, qualunque vita animata su questo pianeta, che non agisca in ritualità.
L’incontro annuale di vyasapuja, con il suo rito pulisce e spinge verso l’alto (ascesi) anche quelli che, come me, sono (apparentemente) ben corazzati contro i sistemi religiosi e/o ideologici.
Singolare che per conquistare gradi sempre più alti di libertà, si debba cederne una parte in percorsi predefiniti di espressione e devozione. Evidentemente l’essere umano procede per paradossi.
Anche la figura del maestro mi appare allo stesso tempo innalzata e ridimensionata insieme.
E’ lui infatti che guida la cordata. Ha esperienza e conoscenza, ma è uno di noi.
Anche lui confida nella protezione delle corde che lo legano ai suoi discepoli.
Questo non ne sminuisce l’importanza, al contrario ne innalza lo spessore, poiché ci responsabilizza al massimo grado. Ovvero ci chiede di aiutarlo portandoci in sicurezza.
Detto in altri termini: tanto più diventiamo veramente liberi, tanto più rafforzeremo la comune rete di sicurezza.
Graziano Rinaldi

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