Ponsacco, Pisa, novembre 2019, Mundakya Upanishad: una sillaba, pochissimi versi, quasi tutti “impensabili”, come incomprensibile e indefinibile è l’ultimo stato di coscienza di cui ci parla, là dove è la coscienza stessa il suo strumento di conoscenza.
Cosa ha spinto a parlare e addirittura ad organizzare un seminario di tre giorni su ciò che non può essere detto?
Forse la consapevolezza che il vocabolario umano, per quanto evoluto, non può esaurire la grandiosità cosmica e nessun linguaggio potrà narrare l’interezza dell’esperienza umana. Se è certo che la parola non ce la fa ad abbracciare l’infinito, è anche evidente che ciò che non ha limiti non ha bisogno di parole per farsi sentire, e si manifesta altrimenti.
Così la coscienza si specchia in se stessa, inesplicabilmente, con potenza proporzionale alla volontà che si fa fede, di uscire dalle porte blindate dell’ego.
Come un magma sotterraneo che prima di cristallizzarsi si perde nelle più minute crepature della terra, così l’indefinibile s’intrude in ogni fessura dell’io, e quando i canali della coscienza sono liberi dalle identificazioni, dagli attaccamenti e dall’invidia, l’invisibile si manifesta, rivelando tutte le sue potenze in una beatitudine che incredibilmente era già racchiusa da qualche parte dentro di noi, in un luogo/non luogo dal quale solo noi possiamo richiamare.
La Mandukya Upanishad ci spiega che sebbene ossimoro ciò è possibile, e il Maestro Marco Ferrini ha spiegato l’inspiegabile parlando di come predisporsi per questo viaggio nel luogo più sconosciuto dell’universo: noi stessi.
Graziano Rinaldi