Prashna in sanscrito significa “domanda”, Prashna upanishad è uno dei testi più antichi dell’umanità pervenutoci dai tempi mitici della tradizione orale, un breve scritto dove vengono poste sei domande sul prana, altra parola poco e mal frequentata dalla contemporaneità.
La traduzione più appropriata di prana è “energia vitale”, qualcosa che sta a metà strada tra lo spirito e la materia.
E qui un’altra difficoltà che deriva dall’aver ridotto il conoscibile a ciò che si può misurare.
Non mi risulta che il prana sia misurabile, ma possiamo fare uno sforzo concettuale ed immaginare un sistema dove questa forza sia tratto di unione tra il visibile e l’invisibile.
L’antica filosofia indiana ci consegna infatti una complessa cosmogonia dove regna un ordine chiamato dharma che governa le cose umane come quelle della natura.
Che le nubi portino la pioggia in certi luoghi e nei tempi previsti, o che la fotosintesi medi l’energia solare con le necessità degli organismi viventi sul pianeta, è verificabile e studiato approfonditamente, ma la teoria del dharma prevede molto di più, ovvero che ogni azione umana debba seguire delle precise leggi etiche, inestricabilmente legate in un unico sistema di azioni e reazioni con le leggi fisiche.
Questa affermazione è quanto di più distante ci possa essere da qualsiasi relativismo, poiché s’incardina su dei principi etici universali che devono essere declinati in modo appropriato in diversi tempi e luoghi.
Perché non appaia un oscuro esoterismo orientale, dirò che due di questi basilari principi sono ahimsa e karuna, non violenza e compassione: a qualcuno risuonerà la similitudine con altre tradizioni culturali e religiose!
Ma qui non ci interessa esaminare i fondamenti di questo ordine universale che comprende insieme i fenomeni naturali e l’etica umana, quel che vorrei mettere in evidenza è ciò che collega (e come) il comportamento umano alle leggi naturali, in particolare alla salute fisica e psichica.
Una premessa, Prashna upanishad nasce dall’intuizione illuminata di persone che si sono ritirate in luoghi solitari, in mezzo ad una natura incontaminata e bellissima, vicino a corsi d’acqua nei quali si poteva bere senza pericolo d’intossicarsi, una vita ascetica priva di ogni orpello mondano, interamente dedicata alla ricerca interiore e alla preghiera… che forse è la stessa cosa!
Questo vicinanza ad una natura che oggi difficilmente possiamo anche solo immaginare guardando i documentari alla televisione, credo abbia favorito il contatto tra il microcosmo umano e il macrocosmo, ma questo è un altro spunto di riflessione, il focus è sulla relazione etica/natura.
Perché mai un comportamento secondo i principi del dharma dovrebbe favorire la nostra felicità e persino la nostra salute?
Che c’entra l’adesione a principi etici col nostro benessere psico-fisico?
Vedo questa antichissima quanto straordinaria costruzione concettuale, chiamiamola pure “teoria” o, se preferisci “religione”, come un cerchio, o meglio una sfera che comprende al suo interno tutto il visibile, l’invisibile e i loro collegamenti: quello che collega l’essere umano al suo destino (qui chiamato Karma) è proprio il comportamento individuale.
Qual è allora il collante che lega comportamento e benessere (o malessere) umano: la Prashna upanishad ci dice che ciò che lega la felicità o l’infelicità umana all’etica è il prana!
Spetta a noi espandere o comprimere la nostra energia vitale (prana), ogni essere umano, senza eccezione alcuna, ha la possibilità di vivere nella luce o nell’ombra, infatti sono le nostre convinzioni, i desideri, il comportamento e come ci poniamo di fronte al mondo che determinano la nostra energia vitale.
Per dirlo in altri termini: tanto più usciamo dalla nicchia chiusa del nostro ego, dalle identificazioni coi ruoli e le cose, tanto più ci colleghiamo a questa energia che pervade e sostiene l’universo intero e tanto più viviamo nella felicità.
Il prana è ovunque disponibile, ma è la psiche che lo richiama o lo comprime, è dunque lì, nella mente, che bisogna fare pulizia!
Come?
Seguendo i principi del dharma universale, applicandoli alla nostra situazione particolare (swadharma).
Quali sono questi principi?
Semplificando potremmo partire dallo Yoga tradizionale di Patanjali e prendere in considerazione i “dieci comandamenti”, cinque yama (comportamenti da evitare per non comprimere il prana) e cinque nyama (prescrizioni per evolvere ed espandere il prana).
Provare per credere, dopotutto si tratta di scienza empirica, scoprirai che la salute fisica, il benessere nelle relazioni, la gioia di vivere… dipende quasi tutto da te!
Graziano Rinaldi