Tre anni e mezzo di lavoro, quattordici incontri di 5/7 giorni ciascuno in varie parti d’Italia, centinaia di ore d’ascolto… ci hanno trasformati.
Questo lungo “pellegrinaggio” attraverso la Bhagavad Gita, guidati dal Maestro Marco Ferrini, ha cambiato il nostro modo di vedere il mondo, modificando le nostre convinzioni profonde, cosicché anche il mondo stesso ci appare diverso. Chi ha percorso per intero il lungo viaggio o chi ha partecipato ad alcune tappe, ora capisce che ha vissuto da protagonista un evento straordinario e molto raro nel mondo contemporaneo: ciò che nelle società tradizionali è la norma, per le società secolarizzate come la nostra è un’eccezione che ai più appare assolutamente bizzarra.
In questi anni non abbiamo “studiato” la Bhagavad Gita, abbiamo ascoltato il “canto del glorioso Signore” dalla voce di un Maestro che coerentemente vive ventiquattro ore al giorno la tradizione di cui si fa portatore; abbiamo ascoltato ed abbiamo fatto domande.
In questo approccio ad un testo fondante della tradizione, c’è una potenza sconosciuta per chi pensa e studia nei termini consueti, non è un passaggio d’informazioni ma un vero e proprio lavoro iniziatico, durante il quale le parole costruiscono dall’interno una nuova e più elevata coscienza e non mi sembra di dire niente di speciale affermando che queste parole dialoghino con e trasformino una parte di noi della quale non siamo completamente coscienti.
Nella Bibbia è il Verbo, nei Veda è Vac, la parola che crea, che illumina dov’era oscurità. Nelle tradizioni degne di questo nome, la trasmissione del sapere avviene oralmente e al solo scopo di trasformare il piombo in oro, le tenebre in luce, per coltivare una conoscenza che deve trasformarsi in saggezza. Strano, ma sintomatico e spiegabilissimo che nella modernità si sia ribaltato il senso delle cose: mentre noi consideriamo la scrittura una conquista, per l’uomo tradizionale è lo strumento di esseri che hanno perso la capacità di memorizzare, una protesi. C’è un rovesciamento di prospettiva, da una parte l’umanità si evolve progressivamente dall’animalità alla civiltà, dall’altra si degrada dall’età dell’oro a quella del ferro. Noi contemporanei siamo stati educati alla luce delle “magnifiche sorti e progressive”, l’uomo della tradizione vede invece nella società umana la stessa entropia che osserva in natura: un organismo che nasce, si sviluppa al massimo grado per poi esaurire la sua forza vitale ed essere riassorbito nel ciclo eterno della Natura.
A noi fa bene esporci all’inattualità di una delle più nobili tradizioni dell’umanità com’è quella rappresentata da questo poderoso lavoro sulla Bhagavad Gita, ci guadagniamo in salute, fisica e mentale e a quelli tra noi che s’impegneranno di più, regalerà ciò di cui l’essere umano ha più bisogno e da sempre ricerca, la felicità.
Veramente bello ! Sei una persona magnifica,Graziano