La battaglia di Arjuna è la metafora dell’esistenza umana.

Seconda lezione del seminario agosto 2010

I due terzi di questa lezione sono stati dedicati alla descrizione degli antefatti che portano al dialogo tra Krishna ed Arjuna sul campo di battaglia di Kurukshetra. E’ interessante che la premessa sia stata una precisazione sul metodo di “narrare” l’epica mahabharatiana. In questa narrazione Marco Ferrini si è calato nel ruolo di successore di una linea di maestri che si riconoscono all’interno di una sampradaya (scuola di pensiero) e parlando come Matsya Avatara, discepolo iniziato da S.Prabhupada, ci dice che all’interno della tradizione, di qualsiasi tradizione, sarebbe bizzarro fino all’eterodossia “scoprire” qualcosa di nuovo nelle scritture; a differenza della scienza, dove si dà valore alla scoperta, nella tradizione l’innovazione vale si ma nel linguaggio che consente di trasmettere lo stesso messaggio in contesti e tempi diversi. Non è una questione di rigidità, è che la tradizione conserva il precipitato della conoscenza accumulata durante innumerevoli generazioni, il suo compito consiste nel tramandare una verità rivelata, non umana (apaurusheya), che non è soggetta alle dimensioni di tempo e spazio, anche se deve farlo in luoghi e tempi ben determinati. Data questa premessa è stato molto coinvolgente ascoltare per più di un’ora e mezzo le vicende dinastiche dei vari imperatori e semidei che si sono succeduti fino ai cinque fratelli Pandava.

A proposito dei personaggi passati in rassegna da Marco Ferrini nel breve accenno alle complesse vicende del Mahabharata, viene da riflettere sulla natura duale dei principali interpreti di questo grandioso affresco della classicità indiana: sono quasi tutti di nascita mista, semidei che conservano un quid di umano che li incastra nel gioco della vita sulla Terra. Splendidi centauri dalla duplice natura, cavalcano la scena talvolta come sostenitori, talaltra come trasgressori del dharma, al quale tutti indistintamente, soggiacciono. Ognuno svolge il suo ruolo in un gioco dalle infinite interconnessioni dove sembra che la libertà di scelta individuale debba lasciare il posto ad un progetto che non la prevede: gli innumerevoli racconti che si intrecciano nel Mahabharata paiono pezzi di un mosaico che deve restituire un quadro già disegnato fin nei minimi dettagli, tanto che vien da chiedersi dove sia finito il libero arbitrio. Eppure questa “variabile” deve essere prevista, perché gli umani assecondo l’uso che ne fanno, possiedono la libertà di scelta come dono prezioso o pesante fardello. Di questo “gioco (lila) divino” però sembra che gli umani debbano essere soltanto oggetti, ma cosa sarebbe successo se Duryodana avesse accetto l’intermediazione di Dio stesso che nella forma di Krishna cerca di convincere il riottoso usurpatore a restituire il regno al legittimo sovrano, incarnazione del dharma, Yudishtira? L’espediente letterario vuol forse trasmetterci l’idea che neanche Dio, che apparentemente tutto può, riesce ad imporre il dharma se l’uomo non l’accetta nel suo intimo?  Sono la volontà, i desideri, le convinzioni e le emozioni che determinano l’agire umano e ciò che Dio può fare per le sue diafane creature è offrire l’opportunità di conoscere il bene e il male, l’ultima scelta però spetta sempre alla persona. Ma è sempre così? E soprattutto, cosa può “veramente” decidere la persona se è il risultato di una moltitudine di condizionamenti ed identificazioni aliene dalla propria essenza? Il Mahabharata, nella sua monumentale descrizione dei tipi umani e divini, probabilmente offre in termini psicologici, la possibilità di transfert sui suoi eroi luminosi e anche la visione della parte meno nobile di noi stessi che tendiamo ad attribuire all’esterno; come una terapia, allo stesso tempo sembra narrare e trasformare. Del resto cos’è la battaglia di Arjuna e l’immensa trama del Mahabharata se non una metafora dell’esistenza dell’essere incarnato?

Graziano Rinaldi

Appunti direttamente dalla lezione di Marco Ferrini della mattina del 01 agosto 2010

Trattandosi di un sapere tradizionale lo introdurremo di conseguenza, come si fa in tutte le tradizioni quali che siano le divinità, i precetti, l’insegnamento dei maestri; il sapere tradizionale ha questa caratteristica comune che lo si accetta così com’è stato ricevuto e solo la riformulazione con la mutata compagine storico-sociale richiede un adattamento terminologico per valori immutati ed eterni come la Verità da cui promana.

La Bg inizia in un contesto che ha avuto un crescendo di drammaticità: lo scontro tra i più potenti eserciti del mondo, i comandanti in campo sono condottieri spesso mai sconfitti, immenso numero di soldati, elefanti, cavalli, carri da guerra con minuziose descrizioni di armi dagli effetti devastanti, tutto ci rimanda a uno scenario devastante. Krishna è il perno del Mahabharata, la figura di riferimento è sostenuto oppure ostacolato, resta comunque la figura centrale attorno a cui tutto ruota. Krishna appare nella dinastia lunare degli Adava chiamati anche Vrishna, nasce da Devaki e Vasudeva, principi di Matura, nasce in una casa reale e la sua vita è descritta in gran parte della letteratura indovedica seguendo tre fasi. Kamsa, cugino della madre di Krishna è avvertito da una voce divina che l’ottavo figlio di Devaki sarà la sua fine, allora Kamsa riesce a far imprigionare i genitori e ad uccidere tutti i figli dei due. Ma l’ottavo figlio è scambiato con la figlia di un mandriano, Nanda, che vive in una foresta del regno, Vrindavana, a sud di Matura, sfuggendo al massacro dei figli di Devaki. Kamsa è avvertito e quindi decide la strage di tutti i bambini dell’età di Krishna. Ma Krisha non è solamente un sovrano della dinastia lunare, è anche un avatara, una manifestazione di Dio, in questo caso nella forma umana, Krishna è Dio stesso, avatara di se stesso. A Matura compie una serie di prodigi, poi vivrà e regnerà a Dvaraca, sul mare, compiendo innumerevoli altre avventure divine, lila. La terza fase, quella della dipartita, quando Krishna, insieme a tutti gli esseri celesti, i principi Yadu, tornano nel mondo spirituale insieme a Lui poiché erano discesi con Krishna per “giocare” insieme. Circa 5.150 anni (questo avvenimento è segnato in cielo da un asterismo verificabile) fa Egli torna nel mondo spirituale e in quel momento avviene il cambio epocale, il passaggio a Kali Yuga, si affermerà un nuovo modello di umanità. Krishna discende principalmente per l’amore che prova per i suoi devoti e nel frattempo compie altre innumerevoli funzioni, tra le quali il ristabilimento del Dharma.

La BG inizia proprio col termine Dharma kshetra, il campo del Dharma, kshetra è il campo. Kurukshetra è il campo dei Kuru, il “campo” in cui avvengono dei fatti. I Kuru sono una dinastia molto potente sono conosciuti anche come stirpe di Bharata, figlio di due eroi del Mahabharata e diventerà il più grande monarca della terra. I discendenti di Bharata, i Kuru al tempo storico della BG si manifestano come tre figure, due di ordine regale e la terza considerata shudra. Così Krishna si trova collegato ai Kuru. Il re Shantanu è sedotto da una dea di nome Ganga che deve sedurre Shantanu perché deve liberari i 5 Vasu, una categoria di esseri divini che hanno ricevuto una maledizione da Vasishta, in realtà Bhishma è il sesto vasu che rimarrà sulla terra a condurre una vita eroica. Bhishma decide di cedere il diritto di regnare al padre, Shantanu, sul quale incombeva la maledizione di Vasishta agli 8 Vasu condannati a cadere dai pianeti celesti per incarnarsi nella forma umana. La Devi Ganga, conosciuta per la sua grande compassione e potenza diventerà loro madre scendendo sulla terra per trovarsi un padre degno, concepire, partorire e uccidere (=liberarli dalle miserie umane ed esaurire la maledizione che gravava sulle loro teste) i figli subito dopo la nascita, tutti meno uno, quello che aveva convinto i fratelli a sottrarre la mucca Kamadenu a Vasishta, questo è Bishma che conserverà il potere di decidere il tempo della propria dipartita. Bishma vuole consolare il padre Shantanu, abbandonato dalla dea Ganga (che aveva fatto promettere a Shantanu che non l’avrebbe mai corretta e la prima volta che l’avrebbe fatto Lei sarebbe scomparsa, Shantanu interviene al momento della tentata uccisione di Bishma) ed ora innamorato di Satyavatii la quale era nata da un pesce e che aveva un fratello che a sua volta diventerà re dei Matzia, una dinastia alleata dei Pandava. Bishma, che avrebbe dovuto essere il principe ereditario, viene ostacolato dal padre di Satyavatii, che era il capo della comunità dei pescatoriche aveva pescato il famigeratro pesce ingravidato da un grande re di nome Vasu per una lunghissima storia. Satyavatii non potè essere tenuta a corte per via dell’odore di pesce che emanava e fu restituita al pescatore che l’aveva pescata. che. Satyavatii diventerà la madre (dall’unione col saggio Parashara che aveva il compito di far discendere un avatara che avrebbe riunito i quattro veda in uno solo per l’imminente era di Kaly) di Vyasadeva il quale appena nato assume la forma adulta di un saggio veggente e scompare nella foresta dando a Satyavati un mantra per chiamarlo nel momento del bisogno,  è negli antefetti del Mahabharata, Satyavati ottiene da Parashara di trasformare la puzza dipesce che emanava in una fragranza che farà innamorare re Shantanu.

Dunque ci sono tre Krishna nel Mahabharata, il figlio di Devakii, Vyasadeva e Draupadi.

Vyasa è narratore e protagonista del Mahabharata.

Descrizione albero genealogico dei Pandava e dei Kaurava…

Shantanu ha dei figli da Satyavatii, Citangada e Vicitraviria che muoiono senza vere figli, per cui le loro mogli, Ambika e Ambalika vengono ingravidate da Vyasadeva su richiesta di Satyavatii che vede la dinastia Kuru senza discendenza (anche i figli di Satyavatii hanno storie loro molto interessanti), dalle vedove e Vyasa nascono Dhritarashtra, Pandu e Vidura.

Pandu, re saggio, sostenitore del dharma, durante una battuta di caccia uccide due cervi in accoppiamento, cosa adharmya, per l’appunto i due cervi erano due brahmani i quali maledicono Pandu a non potersi mai accoppiare a sua volta pena la morte. Ecco che si ripete la situazione di assenza d’eredi alla dinastia Kuru. Pandu disperato ne parla a Kunti, detta anche Priti, che si rivela al marito possedere un mantra speciale col quale può convocare esseri divini ed esserne ingravidata. Così vengono convocati i deva del Dharma (nasce Yudishthira), Vayu deva del vento (nasce Bhima) e Indra il signore dei cieli (nasce Arjuna). L’altra moglie di Pandu, Madri, più giovane, chiede di procreare, allora Pandu chiede a Kunti di convocare deva anche per Madri, questa volta arrivano gli Dei gemelli, Asvin che procreano con Madri i gemelli Nakula e Sahadeva.

Quando i cinque fratelli Pandava tornano a reclamare il regno ad Ashtinapura che reggeva il fratello di Pandu, Dhritarashtra, e sarà proprio la bramosia del primogenito del reggente Duryodana, la causa della battaglia di Kurukshetra. Duryodhana è caratterizzato dall’invidia e cercherà di ostacolare in tutti i modi l’ascesa al trono di Yudishtira il primogenito di Pandu e figlio del Dharma. Dopo aver tentato l’impossibile i Pandava devono combattere contro Duryodana.

Sul campo di battaglia Arjuna ha come auriga Krishna di cui oltre che amico intimo era anche cognato, avendo sposato Subhadra, sorella di Krishna figlia da cui avrà Abhimanyu, da cui nascerà Parikshit, che ritroviamo nel Bhagavata Purana. Krishna lascia scegliere ai due avversari, Arjuna e Duryodana se vogliono l’armata degli Yadu oppure Krishna stesso che però non può combattere ma solo suggerire, per una disposizione della sorte Arjuna sceglie per primo e sceglie Krishna, ovviamente Duryodana è ben contento di avere l’armata degli Yadu al suo fianco.

Non è un caso che le sorti del mondo si disputino in questo luogo del dharma, a kurukshetra che era il centro di riferimento dottrinale della dinastia Kuru e di ciò che era il sapere di allora, la rivelazione, tutto ciò che si esprime attraverso ritam, attraverso il rito, il sacrificio che ha una finalità, era il luogo come su un altare in cui milioni di uomini si giocano il destino dell’umanità.

Shloka 1-30:

L’invincibile Arjuna, che aveva sconfitto nemici d’ogni sorta, qui è preso dallo sconforto. Gli kshatria sono familiari con certi sforzi, capaci di star di fronte ad urti di ogni genere, ma questo frangente mostra la vulnerabilità di Arjuna che è di fronte ad aspetti poco conosciuti del proprio carattere, come se una dimensione della sua psiche straripasse nella sua coscienza travolgendola. Anche i sintomi descritti sono quelli di uno shock emotivo, ne emerge una sindrome depressiva, ora è incapace non solo di tendere il Gandiva strumento principale nella guerra di Kurukshetra, ma non riesce neanche a tenerlo in mano, un arciere mai sconfitto. Che cos’è successo a questo eroe che non aveva mai conosciuto la paura? Ad Arjuna viene meno il “senso” del combattimento, la sua coscienza si annebbia. Qui traballano molte concezioni moderne di etica, di morale e anche allora non erano decisioni che si potessero prendere senza un tormento interiore. Nonostante sia in presenza di Dio è tormentato dal dilemma se combattere o non combattere. E’ o non è Arjuna? Non solo gli esseri umani sono ambivalenti, lo sono anche i semi-divini, coloro cioè che conservano qualcosa di umano, a volte sono lucidissimi a volte no. Arjuna ha visto tra i due eserciti persone care, vede Bhisma, che per soddisfare il padre (Shantanu) rinuncia al regno e fa voto di brahmachariato, dell’unanime stima che questo semidio aveva ottenuto tra gli uomini per il suo “voto terribile”, per tutti Bhisma è colui che avrebbe avuto diritto al mondo intero e che ha rinunciato per soddisfare il padre. Quando Arjuna vede Bishma schierato con l’esercito di Duryodana… e poi Drona, Kripa, allora Arjuna, che non ha brame di potere, pensa che non potrà combattere per uccidere coloro ai quali avrebbe paradossalmente dovuto offrire la sua vittoria, il suo valore. Si entra subito nell’upadesha della Gita: agire nella modalità dell’offerta, il cuore della Bhagavadgita..

Arjuna chiede a Krishna come sia possibile che loro che conoscono il dharma possano lasciarsi provocare da gente che non conosce la differenza tra il bene e il male? In realtà Arjuna sta cercando di costruirsi un alibi per non combattere, ma se sa che dovrebbe combattere, è stato educato alla guerra per ristabilire la giustizia come guerriero e non potrà sottrarsi a sostenere con la propria vita la giustizia, ma ci prova, sa che il dovere di uno kshatria è uccidere o essere ucciso, se uccide o è ucciso mentre compie il suo dharma la sua perfezione è garantita, perchè quello che manca nel cammino umano verso la perfezione la si conquista nelle nostre azioni al servizio del puro dharma che bruciano così il residuo debito karmico. Arjuana lo sa, ma è travolto dalle emozioni e da persona saggia diventa insensata, il suo dharma è l’esplicazione del sanatana dharma, lo swadharma è temporaneo ma non è separato da ciò che è eterno. Noi stiamo nella linearità nascita-morte finché ci impuntiamo a separare la nostra temporalità dall’eternità, quando agiamo nel dharma la nostra temporalità diventa eternità, sia nel piccolo che nel grande ognuno nel proprio dharma, nessuno invidi l’altrui dharma perché é solo seguendo il ruolo specifico che abbiamo nella società che si può aderire al dharma e raggiungere la perfezione.

C’è un’interazione continua nel trimundio, quando viene infranto il dharma le persone precipitano subito nell’inferno, come citato da Dante a proposito di Branca Doria.

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