Febbraio 2011

La libertà di servire

(Sesta ed ultima lezione di Marco Ferrini al seminario inverno 2010 isola d’Elba)

Il commento di Matsyavatara degli ultimi venti shloka dell’ottavo capitolo, ha messo in luce alcuni snodi fondamentali della Bhagavadgita, un alto concentrato di senso per il quale rimando all’ascolto della lezione e agli appunti che seguono. Propongo alcuni spunti di riflessione sul rapporto tra “paramam gatim”, il fine supremo, e la rivoluzione interiore che è necessaria all’uomo contemporaneo per poter comprendere un diverso senso di libertà, temi sviluppati da Marco Ferrini in questa breve lezione. Se provassimo a chiederci qual’è il nostro scopo supremo cosa sinceramente risponderemmo?Leggi tutto »La libertà di servire

Senza mai deviare.

(Quinta lezione di Marco Ferrini al seminario invernale Isola d’Elba 2010)

Nella vita degli umani accadono fatti che possono predisporre o addirittura costringere a cambiamenti di prospettiva esistenziale.

Ma cos’è che permette di trasformare una convinzione profonda, uno stile di vita?

Negli shloka 8,9 e 10 del cap. VIII esaminati in questa lezione da Matsyavatara (nome iniziatico di Marco Ferrini) possiamo trovare una risposta plausibile e scientificamente verificabile: “abhyasa”, la capacità di rimanere “costantemente” nella disciplina (sadana). E’ la costanza nella disciplina, si dice, che mantiene la mente fissa sull’obiettivo, è la pratica assidua e costante che permette di “cambiare” acquisendo fede in ciò che prima era solo un’ipotesi di lavoro. Ho detto verificabile empiricamente perché ad un osservatore attento non sfuggirà che Leggi tutto »Senza mai deviare.

Il saggio può comprendere lo stolto, non il contrario.

(Quarta lezione di Marco Ferrini al seminario 2010 Isola d’Elba)

“E quale che sia l’essenza divina, pensando alla quale
un uomo abbandona il suo corpo alla fine,
proprio quella egli consegue, o Arjuna,
poiché sempre è stato assorto in quel pensiero.” C’è un passo nel Purgatorio, in cui Dante parla di un guerriero che all’atto di morire, colpito in battaglia, si raccoglie e si pente all’ultimo momento, garantendosi così dal non finire all’inferno.
Come può un abbandono così tardivo impedire la dannazione eterna?
Nell’opera dantesca potremmo riferirci alla grazia ed alla grandezza della misericordia divina, ma c’è qualcosa di più.
Intanto la “conversione” non ha a che vedere col tempo e con lo spazio proprio perché appartiene alla dimensione dello spirito. Ma un’altra considerazione mi spinge a pensare che la grazia non sia un’incomprensibile concessione.

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