La lezione è incentrata sulle categorie di spiritualità e religione, intese come due modalità complementari e necessarie per la conoscenza e lo sviluppo nell’uomo delle caratteristiche divine. Con una panoramica a trecentosessanta gradi sulla BG, Marco Ferrini, partendo dalla mitologia religiosa, illumina sul senso del libero arbitrio di cui tutte le tradizioni danno conto come di una facoltà tipicamente umana che permette di scegliere da che parte stare.
Riferendosi alla tradizione vedica vengono illustrate le tre vie della realizzazione spirituale per concludere che quella più adatta agli umani della nostra era è quella che prevede di innamorarsi di Dio, la bhakti, che in occidente è la via mistica di Bonaventura da Bagnoregio, non a caso un francescano! Ma per quanto Krishna raccomandi ad Arjuna la “via regia” della bhakti, non esclude le altre due. Mi pare che oltre all’opportunità rispetto all’era di Kaly vi sia anche la necessità di offrire agli innumerevoli tipi umani un percorso che possa prevedere varie tappe, passaggi e soste: in questo caso la religione diventa veramente uno strumento di conoscenza in grado di far respirare a pieni polmoni lo spirito. Karma mimansa e jnana, possono aiutare la persona che si incammina sul sentiero della spiritualità, offrendo gli strumenti del sacrificio e dell’ascesi. L’upasana kanda, la via della bhakti, è certamente più congeniale alla nostra epoca, nella quale il rigore della ritualità del mimansa come le austerità del jnana sono difficilmente proponibili, ma anche l’abbandono che presuppone la bhakti non è tanto comune né facile da raggiungere. Nella tradizione che Marco Ferrini rappresenta e nella quale il dialogo mahabharatiano tra Krishna ed Arjuna corrisponde al punto centripeto che ispira il cuore e l’intelletto del devoto, viene offerto un percorso graduale al fine di svolgere nel migliore dei modi il proprio swadharma, i propri doveri e ruoli e allo stesso tempo vivere nella trascendenza; ma è un percorso che parte dalla scelta consapevole (libero arbitrio) tra una serie di opzioni comportamentali, supportate dalla conoscenza e dall’offerta. In questo senso la bhakti riassume e tiene alte le motivazioni dell’offerta rituale e della conoscenza.
Da alcuni secoli la tendenza più forte dell’umanità su questo pianeta è alla secolarizzazione e alla razionalizzazione, che di per sé non sono demoniache, ma la conseguente dissacrazione di ogni aspetto della vita quotidiana ha lasciato un vuoto incolmabile, riempito di volta in volta da ideologie queste si asuriche, e non parlo solo dei miti sul piano politico, sui quali è evidente la compensazione/sostituzione del mito religioso, ma anche di quelli più subdoli ed invasivi, quelli che creano identificazioni forti e profonde, riassumibili col termine edonismo-narcisismo, che mi piace poco ma non riesco a trovarne un altro.
In questo contesto ritrovare motivazioni all’azione che si innestino sulle caratteristiche luminose dell’essere, significa dare sacralità all’azione stessa, uscire dal relativismo edonista che poi è un girare intorno al proprio ego. E’ la conoscenza e il riconoscimento dell’autorità della fonte che permette un cambiamento di prospettiva, quella libera scelta tra il bene e il male che è la base fondativa di un forte senso morale e di un’etica ispirata ed ispirante. Da qui l’utilità concreta della partizione tassonomica tra deva e asura, conservando sempre l’umiltà necessaria per ricordare la nostra condizione umana, sempre in bilico tra la luce del cielo e l’oscurità dell’abisso.
Graziano Rinaldi
Divinità, umanità e natura.
di Marco Ferrini
APPUNTI DIRETTAMENTE DALLA LEZIONE A CURA DI GRAZIANO RINALDI
Sesta lezione
4 aprile 2010 mattina
In questa lezione Marco Ferrini si occuperà di religione/spiritualità, categorie che nella Gita sono strettamente interattive con tutte le altre e che vanno usate creativamente, poiché tutto è Uno, l’Uno che si manifesta come molteplice è l’aspetto immanente di Dio, che può manifestarsi però anche nell’ineffabile desiderio dell’anima che cerca Dio nella sua forma trascendente. Dio lo troviamo nel fascinans, in ciò che ci commuove, ci travolge, ci scioglie il cuore, ma anche in ciò che ci spaventa: è sempre il nostro rapporto con Dio. Eppure vediamo sentimenti contrastanti rispetto al trascendente, ci sono persone che danno la vita per la trasmissione del sapere sacro ed altre che non ne traggono nessun piacere, bisognerebbe indagare la loro vita emozionale, psicologica, le loro idee per capire queste differenze. Il mito ci tramanda come esseri divini si trasformino in esseri ottenebrati. Al centro c’è sempre una scelta originaria dell’essere umano di scegliere la propria via, all’inizio si tratta sempre di questa facoltà tipicamente umana che chiamiamo libero arbitrio.
Sappiamo che esistono uomini divinamente buoni e uomini diabolicamente corrotti, altri riprovevolmente indifferenti. Lasciando perdere per il momento gli indifferenti, sui quali si sono espressi personaggi del calibro di Einstein dicendo che il male è dovuto anche agli indifferenti che lo lasciano lievitare, occupiamoci dei deva, gli esseri in cui più risplende la luce divina e degli asura gli ottenebrati. In tutte le tradizioni è sempre la stessa saga, nella Bibbia dal pensiero di Dio furono creati gli angeli, tra questi pensieri fu il più luminoso, Lucifero appunto, che si oppose a Dio: un pensiero che si oppone al suo creatore! come in quegli stati patologici della personalità in cui gli individui diventano offensori di sé stessi. E’ questa una caratteristica dell’inconscio tenebroso che Jung chiama ombra. E’ l’ombra che produce ostacoli alla realizzazione spirituale dunque, esaminiamo differenti percorsi religiosi per vedere dove si annidano le insidie.
Nei Veda i percorsi ortodossi sono tre e si trovano all’interno delle “sei visioni”, shad dhashana. La prima, che attiene al cuore dei Veda, cronologicamente la più antica è il Karma Mimansa, l’atto sacrificale, l’azione perfetta. La centralità della religione vedica è il sacrificio nel fuoco, Agni Otra, dove è prevista l’accensione del fuoco sacro, la preparazione dell’arena scarificale dove poter offrire le oblazioni ai Deva che avrebbero così soddisfatto i desideri umani attraverso una pratica molto complessa e rigorosa, per niente adatta all’era di Kali. In questa via il desiderio originario deve essere trasformato non tanto attraverso l’appagamento dello stesso, ma, andando oltre, deve trasformarsi da desiderio mondano a desiderio spirituale. Questo processo di sviluppo, sublimazione e trasformazione del desiderio del desiderio conduce alla vera evoluzione, dove il sacrificio deve superare se stesso attraverso la purificazione del desiderio. In questo senso il sacrificio aiuta il richiedebte ad elaborare i propri desideri, a purificarli fino ad elaborare ciò che è sul piano trascendente. Senza questo processo di trasformazione del desiderio, l’azione interessata potrebbe sembrare che abbia poco a che fare con la religiosità. Pertanto, così intesa, la via del sacrificio è la via raccomandata dai Veda e la via del karma della religione vedica è il sacrificio del fuoco.
L’altra via è jnana, la via della conoscenza, dove il sacrificio non è più un atto liturgicoche si svolge all’esterno di sé, né l’oblazione che si versa nel fuoco sacrificale, né i mantra pronunciati all’esterno, qui è un sacrificio interiore in cui tutto ciò che si desidera è sacrificato al fuoco della mente affinchè estingua ogni desiderio mondano. Questo percorso richiede la rinuncia a tutto ciò che è mondo, astensione da tutto ciò che è vita e società al fine di estinguere nel fuoco della mente ogni attaccamento. Questo alto utilizzo dell’intelletto è una forma di religiosità che trova pure residenza nei Veda, è il percorso del neti neti, non questo non quello, dove tutto ciò che non è il sé spirituale è scartato a priori, in questo senso richiede una radicale rinuncia al mondo, è il sentiero mayavada di Shankara, dove sono tutti sannyasi, molto attenti a non assumersi responsabilità nel mondo e quando sono costretti a farlo lo fanno come alternativa minimale. In questa via tutto è non-esistente eccetto il Brahman, questo è il centro della religiosità jnana.
La terza è la via denominata Upasana kanda che noi chiameremo Bhakti marga e dalla quale spillano tutte le riflessioni sull’accostarsi alla Divinità, infatti Upa sana significa “quando ci si accosta”. Anch’essa è attestata nel Veda più antico, il Rig Veda con la riflessione per la quale Vishnu è il Signore del sacrificio, Vishnu Yajna, colui al quale sono destinati tutti i sacrifici e gli sforzi umani, già nel Rig Veda dunque Vishnu occupa il cielo più alto.
Il primo inno del Rig Veda è dedicato ad Agni, il quale apre il discorso sul sacrificio, e questa samita è proprio caratterizzata dal sacrificio del fuoco. Nella Bhkti marga non c’è necessità del fuoco, poiché il fuoco è lo spirito ardente dell’innamorato di Dio. Nel Rig Veda c’è la figura di Inra. molto simile al Giove a cui si offre il coraggio, la giustizia, brandisce una spada e tiene le folgori proprio come Giove, ma c’è anche Vishnu che è per l’accoglienza, il perdono, la misericordia e la compassione, Egli premia chi si innamora di Lui e risiede nel cielo più alto.
I Veda non si presentano con un’unica politica religiosa, si tratta di un Dio unico che è molteplice per prestarsi ai diversi tipi umani, per questo talvolta sono confusi col politeismo. La componente emozionale degli umani serve per capire le ragioni della spiritualità. Chi imbocca la via religiosa per paura ha bisogno di un Dio protettivo e vendicatore, combattivo contro i nemici (cap. X e XVI 11-12 BG). Nel XVI Krisna entra nei particolari comportamentali e psicologici delle due nature divina e asurica, ci fa capire con chi abbiamo a che fare, per esempio la persona ingannevole che oggi mi gratifica devo aspettarmi che domani inganni anche me.
Gli asura non hanno né purezza né pulizia, non hanno retto comportamento e non sono veritieri. Krishna dà la memoria e anche l’oblio, il devoto sa a chi rivolgersi e in questo sta la differenza tra religiosità e spiritualità, mentre la religione ci dà il metodo, le procedure, la compagnia, la spiritualità ci lascia soli con noi stessi (in senso costruttivo) in quanto possiamo trova Dio in noi. La religione in questa complementarietà serve per fornire gli elementi esteriori alla spiritualità, è il sentimento con cui viene fatta l’azione religiosa che determina la vicinanza o meno alla spiritualità, se c’è il sentimento profondo del dono per entrare in collegamento col Divino, in questo caso è spiritualità, l’aspetto esteriore è quello che percepiamo di Dio all’interno delle forme. Chi invece è inretito nelle molteplici fantasie del godimento dei sensi si situa lontano dalla Divinità. Il merito e il demerito consiste nel fare le scelte da illuminato o da ottenebrato, scegliere chi vogliamo essere, con chi volgiamo stare, se aderire ad una scala di valori oppure a disvalori, per gli ottenebrati tutto sta nella gratificazione dei sensi, nelle comodità e nell’agiatezza. Invece il piacevole e lo spiacevole per chi è nel dharma non provoca disagio, quando l’intelletto è collegato (Buddhi Yukta, essere collegati con la matrice divina, col dharma) permette di rimanere saggi, sereni, equanimi e di accettare disagi e comodità con la stessa attitudine; naturalmente questi sono traguardi, per arrivarci bisogna fare molta strada.
Ora vediamo l’invidia, malanimo provocato dell’altrui prosperità, . E’ una delle più gravi malattie sociali. La persona che non si agita per quel che succede dà ai nervi all’invidioso che si turba constatando la stabilità emotiva di qualcuno, ne è urtato, BG III,32. La saggezza è qualcosa da rinnovare quotidianamente, richiede una costanza che si raggiunge solo quando tutti i nstri contenuti psichici, soprattutto inconsci, sono stati bonificati. IV, 22 dove si ribadisce che non è l’azione a contaminare, a creare karma, perché l’azione è come un atto sacrificale, dipende dalla motivazione, qualsiasi cosa si faccia, pulire un cesso o un altare, se la motivazione è pura, è la stessa cosa. IX, 1 Krishna rivela la dottrina ad Arjuna perché è privo d’invidia, altrimenti la dottrina sarebbe distorta come passando da una lente distorcente. XII, 13, 14. XVI 1,2,3. superiore alle coppie d’opposti, privo d’invidia, equanime nel successo come nell’insuccesso, queste sono le caratteristiche delle persone che sono messe sugli altari, si tratti di Buddha o di Francesco d’Assisi.
Gelosia differenza dell’invidia, la gelosia è un sentimento di ribellione provocato da una reale o presunta inferiorità nei confronti di un rivale, si sviluppa in assenza di compassione, empatia e gratitudine, l’interlocutore viene visto come un rivale e può anche non essere a conoscenza di essere oggetto di gelosia.
Risentimento è animosità verso qualcuno per una presunta o reale offesa o affronto ricevuto.
Odio è ostilità che implica un atteggiamento istintivo di condanna associata a rifiuto, ripugnanza e il desiderio di nuocere. Chi odia non desidera trovare una soluzione, appianare le cose, non vuole addivenire ad un accordo, l’odio vuole solo danneggiare e deriva dalla frustrazione nell’ottenere ciò che era stato concupito, generando collera II,62.
Le persone asuriche devono crearsi alibi e camuffarsi perdendo il senso di quello che stanno facendo. XVI 21 dove si dice che sono tre le porte dell’inferno, esattamente le tre belve della “selva oscura”: lussuria, collera, avidità. La collera in particolare è distruttiva per l’individuo, generatrice di profonda disistima e sensi d’inferiorità.
L’ira è un moto di reazione violenta per lo più non giustificabile sul piano umano e razionale, l’ira è più attinente alla collera che all’odio, il quale si presenta più strutturato.
La vendetta è straordinariamente contaminante, più dell’odio e della collera, rovinosa all’estremo grado. Se non sradichiamo l’odio, il rancore, il risentimento, se non sradichiamo l’invidia, non si può fare niente e saremo portati alle offese che nascono in un ambiente predisposto, negativo, una predisposizione a contrapporsi in maniera distruttiva in cui l’offesa è naturale conseguenza. Per questo bisogna lavorare sull’atteggiamento malsano prima che passi all’offesa.
Ora le caratteristiche luminose:
Serenità e assenza di paura. Per diventare sereni bisogna liberarsi dalla paura. Una buona pratica religiosa comincia col liberare da atteggiamenti, emozioni e sentimenti che provocano sbalzi d’umore. BG II, 40 capitalizzazione perenne di tappe nella realizzazione. V 12 stabilità nella devozione, pace perenne. V 27, 28 Svincolarsi da desideri, paura e collera. Il “guardarsi la punta del naso” vuol significare di non essere sviati dal baluginio del mondo delle illusioni, è invece auspicabile rimanere in contatto con immagini ispiranti. VI 13, 14 “fare di Me il fine supremo dell’esistenza”. I condizionamenti si destrutturano quando si pensa al Signore che è nel cuore di ciascuno, aver la coscienza sull’Essere supremo, sapere che esiste un testimone che viaggia con noi e che è l’amico supremo. XII 12 “la rinuncia ai frutti dell’azione permette di raggiungere la pace della mente”.
Compassione XII 15. colui che non turba e non è turbato, non basta non essere turbato è necessario anche non turbare, non si può essere saggi a metà.
Equanimità sinonimo dell’equilibrio fisico nel senso di rimanere stabili, sul piano emotivo mantenere l’umore allo stesso livello. Si può provare sofferenza, piangere, ma non essere turbati come si può ridere ma senza esaltarci, è il turbamento che è patologico.
Carità non per sentimentalismo o per ideologia, ma è per profondità d’amore per Dio che amiamo il Creatore come le creature e il creato, lo amiamo perché è opera di Dio. Non possiamo amare il neti neti, ma il creato che esiste. XVII, 21 la carità elargita per dovere… la carità va distribuita alle persone degne, è diverso che nella tradizione cristiana.
Perdono come annullamento di qualsiasi desiderio di vendetta, sbaracca il cuore da ogni velleità. Perdonare anche quando siamo in dubbio se la persona ha agito bene o male, X4,5.
Amicizia IX, 29 Non solo non dobbiamo coltivare inimicizia per nessuno, ma dobbiamo anzi far si che l’amicizia dilaghi e diventi la modalità con la quale le persone si collegano tra loro. Non dobbiamo imporre niente a nessuno, dobbiamo solo essere disponibili, è la disponibilità che permette all’amicizia di sbocciare.
Affetto la pratica della devozione manda in frantumi gli ostacoli, i condizionamenti, gli anarta e il primo risultato è ratin, l’attrazione per il Divino e rimanendo nel fuoco della pratica costante si passa a rucci, il gusto per il Divinoche è più rilevante. Bisogna pregare perché Dio ci doni questo gusto, questa richiesta dà una forte motivazione allenostre preghiere. Dal gusto sgorga l’affetto, pritin, e pritin Prema amore concreto, allora tornano tutte le passioni ma sono depurate dalla cupidigia, dall’orgoglio e sopratutto dalla lussuria: è l’Amore di cui parlano i mistici VI, 23.
Domande.
1. In una società piena di devianza come capire quando siamo complici?
Anche se la persona non sta facendo qualcosa di direttamente dannoso, si può trovare coinvolti in organizzazioni che producono danneggiamenti non accettabili dall’etica del soggetto: non rimane che cambiare. Chiunque deve fare il meglio nel posto dove si trova, ma poi inizia a pregare perché si avveri ciò che desidera, i desideri si avverano e creano il nostro futuro. Quando siamo in una posizione che non è la nostra bisogna evolvere, non con troncature, ma per trasformazione, la quale conserva tutta la positività e la costruttività delle nostre esperienze.
2. Confine tra fragilità psichica e paura.
Ci sono cose di cui è sano aver paura. Dobbiamo aver paura di ciò che nuoce. Quando Virgilio chiede a Beatrice se non abbia paura a scendere nell’Inferno, lei gli risponde che si deve aver paura quando si fa del male a qualcuno. Krishna definisce il devoto come impavid, perché agisce per il bene di tutti, al contrario i tiranni hanno paura di tutto e di tutti, perché sono dei malfattori impegnati a denneggiare gli altri.
3. L’ira di Gesù al tempio
Chi deve combattere necessita di un impeto di collera. Ci sono grida e imprecazioni per suscitare la collera in battaglia, quando è necessario invocare rajas, che aiuta persone particolarmente predisposte guidate da chi incanala quella collera perché non diventi distruttiva.
Cristo ha diffuso una filosofia del perdono, si tratta di smascherare dei falsi religiosi che avevano trasformato il sacrificio da attività sacra in turpe commercio e l’oggetto di quel commercio erano animali che con la Sua carità Lui tendeva a proteggere. Sarebbe interessante leggere il testo in aramaico per capirne l’eccezione, poiché l’insegnamento del Cristo si fonda sulla carità e il perdono quell’episodio rimane marginale e funzionale a quella particolare situazione.
4. Denunce anonime
L’attitudine migliore è quella alla trasparenza. Se una persona ha qualcosa contro di me mi devo porre in una posizione di chiarimento. Comunicare in maniera anonima fa venir meno la possibilità di chiarimento, ci si rende indisponibili ad un confronto. Se ne va di mezzo la vita vuol dire che siamo in un ambiente pericolosissimo dal quale sarebbe bene organizzarsi per uscirne al più presto. Per sviluppare il coraggio bisogna cominciare da piccole cose e poi, pian piano, ottenendo piccoli successi si progredisce, come fa un atleta che si allena in progressione per raggiungere un certo record.
In margine a questo argomento segnalo come nella Commedia Dante si meravigli che vi siano tanti ignavi nell’anti inferno.
Infiniti sono infatti gli alibi di chi volta lo sguardo ed innumerevole è la schiera, e questo lo sappiamo, il fatto è che dentro ognuno di noi si nasconde l’ignavia, talvolta sepolta sotto una spessa coltre di razionalizzazioni, altre volte apertamete evidente. Massimo Troisi, l’attore napoletano morto troppo giovane, disse che se avesse dovuto scegliere tra essere un leone o una pecora (in relazione ad uno slogan del ventennio fascista) avrebbe preferito essere un orsacchiotto. L’umanità si colloca quasi tutta nell’arco delimitato tra gli asura e i deva, altrimenti non sarebbe umanità, sarebbe mitologia. La pedagogia dei testi sacri prevede l’esposizione delle caratteristiche delle due categorie estreme perché l’uomo sappia distinguere e, appunto, scegliere. Noi viviamo in una mediocrità sia relativamente al bene che al male, fortunatamente rispetto agli ottenebrati demoniaci, sfortunatamente rispetto agli esseri celesti, ma questa è la nostra condizione, non saremmo in questa terra di mezzo altrimenti. Qui e ora ci vengono da millenni (e forse più) indicate le due vie, i due “tipi ideali” cui possiamo ispirarci: Ravana o Rama, Lucifero o Michele, luce o ombra. Siamo tutti più o meno “così così”, né tanto buoni né tanto cattivi, siamo umani. Poi abbiamo visto che certe particoalri condizioni sociali e storiche, favoriscono lo spostamento di masse anche molto consistenti da una parte piuttosto che dall’altra: la sofferenza generalizzata è il termometro che ci dice quanto sia prevalente l’ombra o la luce.
L’ignavia sposta verso la sofferenza, è bene saperlo.
Ti ringrazio Graziano per aver rinverdito principi noti, ma che necessitano di essere rinfrescati. E’ come anaffiare un germoglio per farlo crescere o come raggi di sole che sciolgono ghiaccio e neve. E’ il cuore e lo spirito che ne esce rinforzato, anche quando l’offesa volontaria fa soffrire o quando la collera vorrebbe portarti a reagire; ponderare e realizzare questi insegnamenti ispirano il miglior modo di agire. L’azione é determinata dalla qualità delle nostre scelte. Fermarsi un attimo e osservare quanto accade, rivela la qualità delle persone dalle loro stesse azioni, nobili o ignobili.
Che bell’articolo, e che bel seminario che è stato!!!
Graziano hai fatto proprio un gran lavoro!!! Complimenti e mille grazie per mettere questo sapere a nostra disposizione!!!!!!!