Marco Ferrini affronta in questa terza lezione il tema dei guna, le tre forze/tendenze della Natura che, presenti in ogni creatura, irretiscono anche l’essere umano e, se non conosciute e regolate, possono condurre l’uomo ad un’esistenza completamente inconsapevole e condizionata.
Vi sono alcune affermazioni che devono far riflettere, poiché talvolta appaiono antitetiche all’idea di libertà come tradizionalmente viene percepita nei nostri tempi. E forse lo sono davvero.
Le tendenze coatte presenti nella materia (sorda a rispondere, dice Dante) sono imprescindibili sia per gli esseri viventi che per la materia inanimata (a questo proposito rinvio a Paradiso I, 113-117), in questa gerarchia l’essere umano possiede però una marcia in più, egli in molte tradizioni è simile a Dio proprio per la capacità che ha di discernere la luce dalle tenebre, la scintilla divina di cui spesso si parla è quel libero arbitrio che permette all’uomo di scegliere a quale tendenza abbandonarsi.
La libertà però comporta responsabilità e ciò determina, solo per l’uomo, l’evoluzione o il degrado, cose che gli altri esseri non conoscono in quanto si adeguano automaticamente all’istinto, o alla reazione nel caso della materia inanimata.Ma come fa l’uomo a scegliere tra il bene e il male? A destreggiarsi tra il comportamento corretto e l’errore? Qui entra in ballo la conoscenza sacra… e qui cominciano le dolenti note. In ogni vera tradizione non esiste dubbio su questo punto: ci si affida alla conoscenza sacra, agli shastra e alla guida dei maestri e dei santi, figure che possono anche coincidere. Ovvero, nello stesso momento in cui si vuol diventare veramente liberi è necessario soggiacere ad un’autorità esterna che deve essere assimilata come interiore.
Non condanniamo però troppo velocemente chi non riesce tanto facilmente ad abbandonarsi, pensiamo agli orribili disastri provocati prima dalle religioni istituzionali (a tutte le latitudini e in tutti i tempi) e più recentemente dalle ideologie politiche.
Graziano Rinaldi
Divinità, umanità e natura.
di Marco Ferrini
APPUNTI DIRETTAMENTE DALLA LEZIONE A CURA DI GRAZIANO RINALDI
Terza lezione
02 aprile 2010 pomeriggio
Platone parlava di anima imprigionata nel corpo, questa è anche l’immagine della BG, la quale però ci mostra il corpo anche come strumento attraverso il quale possiamo accelerare la nostra evoluzione, bisogna capire quando è una prigione e quando invece è un vettore, un veicolo straordinariamente dotato per giungere alla liberazione. La Gita ha anche una dottrina del cammino dell’anima dopo la morte, escatologica, una dottrina della salvezza. La Gita ci fornisce uno strumento di lettura di grandissimo pregio, un sistema di misurazione dei fenomeni quasi aderente alla realtà, anche se non è una lettura diretta della realtà, perché la realtà è al di là dei guna, della natura. I mistici affermano che l’unica realtà è Dio e questo è vero perché Dio è dietro la realtà, è oltre la caducità della materia, la quale è una realtà che non regge le forme, è in continua trasformazione, quindi è giusto dire che non c’è che Dio, la realtà è Dio. In effetti non conosciamo niente finché non conosciamo Dio, perché tutto il resto è soggetto a revisioni, incomprensioni, trasformazioni, quando consociamo Dio allora tutto diventa stabile e siamo nella saggezza1 .
Prima della saggezza, se vogliamo evolvere, dobbiamo comprendere la natura dei fenomeni che ci circondano, o almeno di quelli che ci vedono implicati e niente è più efficace e preciso della misurazione attraverso i tre guna, ecco perché Kishna nel 13° capitolo dice che conoscere il campo (cioè la natura, la prakriti) e conoscere il conoscitore del campo (colui che fa l’esperienza della conoscenza), questa si dice che sia la conoscenza. Il campo è la prakriti, la quale è la somma dei tre guna: non esiste la Natura senza i tre guna. La prakriti è la parte visibile, i guna sono energie, frequenze, oppure corde che scaturiscono dalla prakriti e ci legano, ci prendono al lazzo, ci tengono ben saldi, crediamo di essere liberi ma siamo come un asino che gira intorno al pozzo con una corda al collo: le persone irretite dai guna possono muoversi soltanto all’interno di schemi già definiti.
Ognuno di questi guna rappresenta un ostacolo a superare la prakriti stessa. Possiamo chiamarli anche lonza, leone e lupa, ma ognuno rappresenta un ostacolo, oppure può pure darci un senso di gioia ma comunque ci blocca nel viaggio evolutivo2.
Sattva è il guna della leggerezza, gioia, equilibrio e parrebbe il mondo spirituale, parrebbe di essere arrivati, e molti rimangono legati a questo senso del benessere che li narcotizza sul vero senso della vita, per questo anche sattva guna è qualcosa da superare, alle persone non piace liberarsi di sattva, perchè dà lungimiranza e chiarezza e queste virtù creano buone compagnie, onori, senso di pregio, stima, apprezzamento e questo a volte incrementa il desiderio di stare nel mondo, crea un attaccamento al mondo. E’ difficile da capire, uno vorrebbe andarsene quando subisce ingiustizie, dolori, ecc. ma quando è apprezzato, stimato, allora risulta difficile tagliare il legame con ciò che è così caro.
Nella passione invece, in raja guna, c’è una sovrastima, un insuperbimento che causa la caduta in tutti i sensi; in tama guna c’è neghittosità non c’è gioia in niente.
I tipi psicologici sono le varie componenti dei guna all’interno di una personalità3.
La conseguenza di entrare in rapporto con certi guna determina il corpo in cui l’essere nasce, e questo vale per una pianta come per un essere di luce costituito solo da pura energia, seppure all’interno dell’influenza del tempo. Meno uno concupisce le cose fisiche più si sattvicizza e desidera aspetti più sottili, per cui produce un livello evolutivo dove il corpo fisico non deve più soddisfare quei desideri4.
La prakriti si presenta in maniera estremamente differenziata e l’esperienza che facciamo in questa vita dipende da come noi ci siamo posti e ci poniamo nei confronti del mondo. Ogni cosa che facciamo o anche solo pensiamo produce effetti: una persona estremamente sensibile sente di aver urtato anche minimamente una persona e questo permette di correggere il comportamento, mentre la persona grossolana soffre ma non sente la necessità di cambiare il comportamento, processo per il quale è richiesta umiltà e scienza.
BG XIV, 5,6 (XII, 22, XV, 7) Sattva è conoscenza, ma proprio questa conoscenza può condizionare e quando uno è condizionato significa che non è libero, siamo sempre nell’ambito del “subire”. Quando invece la conoscenza diventa sapienza si manifesta l’umiltà come modalità della persona, non c’è più attaccamento, ma per arrivare all’umiltà bisogna praticare e mentre si pratica non siamo ancora umili bensì vi tendiamo.
XIV, 7 L’azione rajasica lega sempre di più l’essere all’ego, egli è alienato, non è più nel Sé, nell’atman, sta costruendosi su di una proiezione, l’esito sarà che arriverà a un punto di rottura e se sposta tutta la sua attenzione sull’esterno cade totalmente e quindi ecco che arrivano frustrazione e sofferenza, questo accade quando viene costruito tutto all’esterno di sé, la morte fa perdere tutto quel che non è costruito sul Sé.
XV, 8 Le tenebre hanno un’influenza: guardando le tenebre diventiamo ciechi, ecco allora l’incapacità di programmarsi. I programmi bisogna farli perché la vita è fatta di responsabilità, senza per questo creare reti d’acciaio che mortificano la creatività, ma la vita può diventare un caos senza una programmazione e far soffrire molto le persone. Le tenebre di cui si parla sono l’ignoranza dei principi da seguire, ignorare il dharma; lo shloka ci dice che non possiamo inventarci lo stile di vita perché sarebbe vivere fuori dal dharma ecco perché bisogna seguire i testi sacri5
L’universo è rigorosamente governato dal dharma secondo il principio della remunerazione delle azioni, quindi non si può vivere sereni e con una certa autonomia di pensiero quando si improvvisa la vita tutti i giorni, persino gli animali sono costretti a subire le regole della natura, ma l’uomo può utilizzare la ragione e il libero arbitrio6, chi si comporta da animale torna al mondo animale.
Non è detto che noi si debba seguire le influenze della natura le quali, se siamo inerti, tendono a sovrapporsi, se noi agiamo e intanto poniamo la prua su sattva guna, essa predomina il nostro carattere: le cose non accadono per il fato, il fato ha un nome: le scelte che facciamo, in altre parole il destino ce lo procuriamo noi.
XV, 11. Tutte le 9 porte del corpo devono essere badate, occorre un guardiano che vigili sugli occhi, sulle orecchie, sulle narici, sulla bocca, sull’ano, sui genitali, chi è vigile custode viene definito sovrano del corpo, maharaj o swami: solo colui che ha dominio sui sensi è abilitato a fare discepoli. Bada di chi ti fide dice Minosse a Dante!
Gli animali non possono scegliere il guna a cui uniformarsi, lo possono solo vivere perché non hanno il libero arbitrio, ma c’è un progetto universale che è come una gigantesca scala mobile che porta tutti alla piattaforma umana, lì si manifesta il libero arbitrio, anche nelle forme umane più “semplici”. Le 400.000 specie umane di cui parla il Vishnu Purana sono caratterizzate dalle componenti (combinazioni) dei guna. Scegliamo dunque sempre la modalità sattvica! Il che significa essere produttivi ed evolutivi non solo per noi ma essere sempre responsabili dell’effetto del nostro comportamento sugli altri, esserne sempre coscienti per migliorare l’effetto sugli altri.
La nostra liberazione consiste nel percepirsi diversi dal corpo nel quale viviamo, riconoscere il corpo come appartenente al mondo della natura, ma noi siamo creatura, e come creatura siamo della stessa natura di Dio, come organismo vivente invece siamo parte della natura: è questo il nostro paradosso che essendo composto di una matrice spirituale si percepisce come prakriti subendo tutte le conseguenze dell’inpermanenza.
Domande
1. Prakriti come energia inferiore del Signore?
Nel Samkia originario è spiegato che dal Param Purusha (Supremo Essere) discendono i jiva che sono le espansioni del Purusha (quindi noi, tutti gli esseri viventi in tutte le forme immaginabili), e gli elementi della natura primordiale, o Pradana, stato informe e non percepibile con i sensi, ma c’è, esiste, è l’akashia pieno di potenzialità ma non ancora manifeste: l’interazione tra la coscienza e la prakriti allo stato di pradana produce le prime manifestazioni. La dottrina ci serve per orientarci, ma poi bisogna realizzarla, chissà quante volte ognuno di voi avrà visualizzato qualcosa che poi ha realizzato e quante volte guardando qualcosa di già realizzato ha pensato che non avrebbe potuto sussistere e allora… scompare, lo vediamo nelle relazioni d’amicizia, sul lavoro, ecc. C’è un aspetto latente nella materia che non aspetta altro che di realizzarsi, ma richiede il nostro sforzo, prima di tutto la nostra visualizzazione, la nostra capacità di tirarlo fuori da quello stato latente e realizzarlo.
Il M. porta l’esempio di un’opera d’arte scolpita in un pezzo di marmo o di legno.
Questa energia che Krishna definisce binna prakriti ashtada, prakriti composta da otto categorie e separata da Krishna stesso che la mette a disposizione perché l’uomo si realizzi, infatti il mondo esiste perché noi ci si realizzi, perché se ne faccia esperienza per liberarci. Dio che diventa molteplice e dà a questa molteplicità di esseri la sua stessa natura. Questa ottuplice manifestazione della natura è un’occasione per noi per praticare la nostra unione col Divino, è proprio l’uso che facciamo della prakriti che ci libera dal condizionamento. La prakriti ci condiziona ma ci offre anche la via d’uscita, nello stato di sattva guna il jiva riacquista tutto il suo vigore spirituale, tutta la sua memoria, come un eroe che dopo essersi risvegliato si libera definitivamente.
2. A proposito dei figli che possono impedire la nostra evoluzione
Certe volte per uno stato di intorpidimento la persona necessita di bruschi risvegli, ma il dolore che deriva dalle disgrazie può essere evitato da una vita sattvica. Se ci muoviamo in modo sensibile e investiamo su sattva in maniera costante senza demordere, pian piano le difficoltà esistenziali vengono meno, la pratica di sattva guna facilita una buona nascita e una vita serena. Quando ci sono infrazioni al dharma e quindi si procura sofferenza, questa sofferenza per una legge cosmica ritorna su chi l’ha prodotta e può tornare come figli, come genitori, diffamazione, persecuzione, non importa in quale modo, ma ritorna, si dice che come un vitello sciolto ritrova la propria mamma anche in una mandria di migliaia di vacche, così il frutto del karma (karma pala), trova l’autore anche tra miliardi di persone. C’è una legge che agisce con rigore matematico per la remunerazione delle azioni, non necessariamente ciò che torna è da attribuire a chi ci sta vicino, può essere una causa molto più remota e dobbiamo sempre essere capaci di discernere se le cose che stiamo facendo sono corrette, hanno il giusto di stacco nel compierle, così possiamo talvolta ricollegare l’effetto alla causa, ma non sempre, perché la nostra memoria non si estende alle vite precedenti. E’ comunque importante accettare la sorte non in modo passivo ma come opportunità per liquidare un debito karmico, se invece è una malvagità di qualcuno è opportuno preoccuparsi per quel qualcuno perché poi gli ritornerà addosso, se ci manteniamo in questa coscienza anche l’effetto su di noi è poco rilevante sotto l’aspetto della coscienza.
3. Qual’è il percorso delle azioni buone e cattive compiute dall’essere umano?
Quando un seme ritrova le condizioni di luogo, tempo e circostanza fruttifica. Qualcosa che abbiamo compiuto può produrre effetti solo quando trova le condizioni favorevoli, questi semi se non sono trasformati attraverso l’elaborazione, prima o poi ne diventiamo vittime. Quindi sapendo di aver danneggiato altre persone, noi ci predisponiamo in maniera costruttiva e con tolleranza per ciò che ci arriva al momento, ma nel frattempo cerchiamo di destrutturare questi semi karmici attraverso gli strumenti forniti dalla religione (preghiera, digiuno, meditazione, mantra, offerta, sacrificio, carità) per destrutturarli prima che questi semi vadano a frutto. Non stando passivi per essere travolti dalle reazioni alle nostre azioni, ma pulire nel profondo, interagire con gran parte di questi samskara che producono da una zona inconscia tutte queste conseguenze e possiamo lavorarci prima che producano queste conseguenze, trasformare (parinama), sublimare il contenuto e infine trascendere questi samskara: ritrasformare il veleno in latte, perché all’inizio era comunque latte. C’è un lavoro da fare e la religione ci dà gli strumenti per fare questo lavoro.
4. Perché Krishna ha scelto un principe guerriro e non un saggio himalayano per illustrare la BG?
Ci sono molti posti in cui le persone sono andate a cercare se stessi, perché questa è stata un’esigenza sentita dall’uomo in tutte le epoche, alcuni si sono allontanati dalla società per ritrovare se stessi, altri sono andate nel mezzo alla gente, se lo scopo sincero è cercare se stessi si può andare ovunque, il fatto che la BG sia stata rivelata su un campo di battaglia non è un caso, ma per esempio non svaluta le Araniaka, rivelazioni prodotte in uno stato altissimo di coscienza ed in assoluta solitudine, dove il soggetto ha dimenticato ogni attributo mondano, questa è una via molto ardua da seguire oggi. La via preferita da K è la bakti, la devozione amorosa, sebbene la BG propone più vie per la perfezione, non disdegna la via jnana della conoscenza, o quello del karma e dell’ashtanga yoga. Nella BG c’è una perfetta consapevolezza che esistono più vie per raggiungere la perfezione.
L’idea di vivere la spiritualità nel mondo è il contributo peculiare della BG che è fortemente in questa direzione, creando un’integrazione tra la rinuncia in spirito ascetico e lo svolgimento dei doveri nel mondo: l’ascesi la si può fare compiendo i nostri doveri con distacco, senza scopi egoici, infatti non è l’azione che lega l’uomo se agisce in spirito di devozione e questo senza astenersi dall’azione. Ecco perché Arjuna è il miglior veicolo di questo messaggio: era nel mezzo alla battaglia! Krishna non lo incoraggia ad astenersi dall’azione, la vera rinuncia è sapere che niente ci appartiene e ogni volta che veniamo in contatto con qualcosa offrirlo a Dio. Non rinunciare al mondo perché nel mondo possiamo esercitare la nostra creatività e beneficiare tante persone, purchè si sia distaccati nell’azione, purché non agiamo per noi, che non si sia noi il destinatario dell’offerta.
5. Distacco emotivo come sannyasi e come tyaghia?
Arjuna è anche lui confuso III e V cap. ma Krishna dice che non c’è differenza tra karma yoga e la rinuncia: quando l’azione è priva d’attaccamento e la rinuncia non è una rinuncia all’azione ma una rinuncia ai frutti, esse sono la stessa cosa! Karma originariamente è l’azione perfetta, fatta nella modalità dell’offerta, non è l’azione come la conosce l’uomo moderno che è motivata dall’accumulo e non da vayraghia. Il saggio riesce a vedere l’azione nell’inazione e viceversa quando è distaccato, vi partecipa ma in maniera terza, pulita, senza essere coinvolto nell’azione e lo fa per compiere al meglio il proprio dovere, senza guardare se arriva guadagno o perdita, vittoria o sconfitta, per dovere e sempre per dovere è necessario anche procurarsi i mezzi e decidere delle strategie
Libere note di Graziano Rinaldi
1. STABILITÀ VERSUS IMPERMANENZA. NELLA SOCIETÀ SECOLARIZZATA, CIOÈ FUORI DALLA TRADIZIONE, PER UNA SERIE DI MOTIVI CHE SAREBBE LUNGHISSIMO ANCHE SOLO ENUMERARE, MA CHE HANNO A CHE FARE PIÙ CON L’IDEA LIBERALE E CAPITALISTA CHE CON DARWIN, LA TRASFORMAZIONE CONTINUA DELLA NATURA HA PRESO IL NOME DI EVOLUZIONE E, SPECULARMENTE SUL PIANO SOCIALE, NELL’IDEA DI PROGRESSO, ASSIMILANDO NELLA PERCEZIONE COMUNE DELLA REALTÀ CIÒ CHE È IN CONTINUA EVOLUZIONE COME QUALCOSA DI POSITIVO RISPETTO A CIÒ CHE È IMMUTABILE E QUINDI DESUETO, “NON AGGIORNATO”.
2. DIDATTICAMENTE LA CONOSCENZA NON PUÒ CHE PERCORRERE ALL’INDIETRO IL PROCESSO DI TRASFORMAZIONE DALL’AVIAKTA ALLA PRAKRITI MANIFESTATA, SIAMO SEMPRE NEL “CAMPO” DELLA NATURA, MA PIAN PIANO SE NE SVELA L’ARCANO. QUESTA CONOSCENZA NON È LIBERAZIONE, MA RENDE LIBERI DALLE CORDE CHE CI IMPEDISCONO DI SPICCARE IL VOLO, COME CE NE RENDE LIBERI? CON LA CONSAPEVOLEZZA DELLA LORO PRESENZA: MAI COME IN QUESTO CASO VALE IL MOTTO “LA CONOSCENZA RENDE LIBERI”. L’ANALISI PSICOLOGICA DEL PROFONDO SI PROPONE IN DEFINITIVA LO STESSO SCOPO: CONOSCERE LE VERE MOTIVAZIONI, LE CREDENZE PROFONDE ALL’ORIGINE DEI DESIDERI E ISPIRATRICI DI AZIONI CHE SOLO APPARENTEMENTE SONO IL FRUTTO DI UN LIBERO ARBITRIO.
3. CoSA SONO ESATTAMENTE? E PERCHÉ PROPRIO TRE? I GUNA SONO LE CONDIZIONI PER CUI SI DÀ QUELLO CHE NOI CHIAMIAMO NATURA. LA TRADUZIONE DI CORDA NE RENDE BENE L’IDEA SIA DAL PUNTO DI VISTA ATTIVO CHE PASSIVO, SONO COME I FILI DELLE MARIONETTE, DA UNA PARTE LE FANNO AGIRE IN MODO ETERONOMO DALL’ALTRA I PUPAZZI “PRENDONO VITA” SOLO PERCHÉ SONO MOSSE DAL BURATTINAIO PROPRIO ATTRAVERSO QUELLE SOTTILI CORDE. SONO QUINDI GLI AUTOMATISMI COSIDETTI NATURALI CUI SOGGIACE L’ESSERE UMANO COME TUTTE LE ALTRE CREATURE, E NON SOLO QUELLE CHE HANNO INTELLETTO E AMORE, MA OGNI PARTICELLA DI PRAKRITI, ANIMATA O INANIMATA. E’ ARCINOTO CHE TRE È UN NUMERO FORTEMENTE SIMBOLICO, TRE SONO I MONDI, TRE LE MURTI, TRE LA TOTALITÀ DI CREATO, CREATURE E CREATORE, E COSÌ VIA. I TRE GUNA RAPPRESENTANO UNA SUCCESSIONE EVOLUTIVA DALL’OMBRA ALLA LUCE ATTRAVERSO IL MOVIMENTO. LE TRE CORDE CHE COLORANO L’UNIVERSO SONO RAPPRESENTABILI GRAFICAMENTE COME ASCENDENTE (SATTVA), ESPANSIVO (RAJAS) E DISCENDENTE (TAMAS), SONO QUALITÀ COSTITUTIVE ESSENZIALI DA CUI LA MATERIA NON PUÒ PRESCINDERE E INTORNO ALLE QUALI SI COSTRUISCE TUTTO CIÒ CHE È MANIFESTATO.
4. ECCO PERCHÉ VIENE DETTO CHE L’UOMO NON È CHE DESIDERIO.
5. PUÒ SEMBRARE UNA CONTRADDIZIONE: DA UNA PARTE SI AFFERMA CHE L’UOMO SI DISTINGUE DALLE CREATURE CHE NON HANNO INTELLETTO PER LA CAPACITÀ DI ESERCITARE IL LIBERO ARBITRIO E COSÌ ARMATO COMBATTERE LE CORDE DEI GUNA, QUEGLI AUTOMATISMI NATURALI E SOCIALI CHE SPINGONO VERSO COMPORTAMENTI ADARMIA; DALL’ALTRA SI DICE CHE IL SAGGIO DEVE ADEGUARSI AI TESTI SACRI, IL CHE PRESUPPORREBBE DI NON ESERCITARE NESSUNA LIBERTÀ DI SCELTA. FORSE QUESTA CONTRADDIZIONE È SOLO APPARENTE, PERCHÉ I TESTI SACRI SONO RIVELAZIONE E QUINDI CONOSCENZA DEL TRASCENDENTE CHE VIENE VOLONTARIAMENTE RICONOSCIUTA PER AUTORITÀ, MA SOPRATTUTTO SONO MODELLI DI COMPORTAMENTO CHE AIUTANO A SEGUIRE LA CORRENTE ASCENSIONALE DEL DHARMA. L’ALTERNATIVA È CIÒ CHE VIENE PROPOSTO DALLA SOCIETÀ CONTEMPORANEA: L’IMPROVVISAZIONE SULLA FALSARIGA DEI MODELLI DI SUCCESSO MONDANO, IERI POTEVA ESSERE L’ARISTOCRAZIA, OGGI I DIVI DEL MONDO VIRTUALE.
6. SEMBRA CHE I PARADOSSI POSSANO ESPRIMERE MEGLIO DELLA LOGICA LINEARE CIÒ CHE HA A CHE VEDERE CON LA METAFISICA. PERTANTO NON SORPRENDERÀ SE IN QUESTO CONTESTO L’APICE DELLA LIBERTÀ È CONSIDERATA LA SPONTANEA E TOTALE RINUNCIA ALLA PROPRIA LIBERTÀ PER RIMETTERSI ALLA DIVINA PROVVIDENZA. ECCO PERCHÉ LA RINUNCIA È CONSIDERATA UN’ESPRESSIONE DI LIBERTÀ, LIBERTÀ DA CIÒ CHE CI CONDIZIONA E CI LEGA ALL’IMPERMANENZA.
In genere non frequento blog e sono poco interessata alla diffusione virtuale e strillata di notizie riguardanti insegnamenti, maestri e tradizioni spirituali.
Spesso, infatti, capita di imbattersi in notiziari “spiritual on line” più o meno indipendenti in cui si confonde il piano della realizzazione spirituale, che è intimo, personale e sacro, con quello dell’affermazione e del riconoscimento di sé, che, al contrario, si nutre di attenzione sociale, necessita del nemico e non disdegna modalità aggressive.
Poiché in questo caso il fine è chiaro e onesto, capisco e condivido pienamente questa iniziativa di Graziano.
E quindi cominciamo pure.
A proposito degli automatismi della natura, è esemplare – secondo me – l’affermazione di Arjuna nel sesto capitolo della Bhagavad-gita:
“O Madhusudana, il metodo yoga che hai sintetizzato mi sembra poco pratico e inadatto per me, perché la mente è irrequieta e instabile.
La mente, o Krishna, è irrequieta, turbolenta, ostinata e molto forte: dominarla mi sembra più difficile che controllare il vento”.
Come ben sanno i miei colleghi psicologi, non c’è disturbo più resistente al trattamento psicoterapeutico delle dipendenze (dal cibo, dall’acool, dal sesso), tanto che quasi sempre la sola volontà non basta ed è vivamente consigliabile, per favorire la trasformazione delle cattive abitudini, integrare le sedute con un programma di “allentamento della coscienza” attraverso tecniche di rilassamento, distensione o visualizzazione.
Emile Coué, uno psicologo francese della fine dell’Ottocento, ideatore della cosiddetta tecnica dell’“autosuggestione cosciente”, consigliava di ripetere a cicli di tre/quattro volte al giorno un mantra nella lingua natìa per favorire la guarigione dei disturbi psicofisici, sostenendo che “l’immaginazione è più forte della volontà”.
Non è poi molto diverso dal meccanismo messo in moto dalla recitazione del maha mantra, con la differenza che quest’ultimo è un metodo collaudato da millenni, efficace, di grande potenza purificatrice e finalizzato all’evoluzione spirituale.
Dice Krishna:
“O Arjuna dalle braccia potenti, è indubbiamente molto difficile dominare la mente irreuieta; tuttavia, o figlio di Kunti, è possibile con la pratica adatta e col distacco.”
Per noi figli di kali yuga e di una cultura che esalta sistematicamente la sensorialità,
combattere le influenze della natura, i cosiddetti guna, richiede un metodo che unisca mente e cuore, razionalità e coscienza profonda.
Credo che potremmo imparare molto da questa tradizione antichissima, anche sotto il profilo operativo.
Haribol!
Grazie Caterina. Il tuo post è puntuale e chiaro rispetto all’argomento. Anch’io la penso come te riguardo al metodo proposto da questa tradizione e al fatto che riesca ad integrare magistralmente “cuore e mente”. Forse per questo mi è congeniale, perché c’è una risposta concreta e non enigmatica alla tensione tra eros e logos, e questo è anche merito di chi la espone.
A quest’ultimo proposito, caro Anonimo, ecco un’altra similitudine tra la cultura psicologica occidentale e il percorso spirituale tradizionale vaishnava. Pur tra mille differenze (la psicologia applicata attuale è ancora molto “curativa” e solo in parte formativa, non esiste una figura assimilabile a quella di un Maestro e la questione etica è ancora grandemente sottostimata), è indiscutibile il fatto che non esista cura senza rapporto, anzi, che il vero motore di una terapia resta la relazione tra due persone, con tutte le sue valenze affettive, intellettive ed emotive, perfino con i suoi ostacoli e conflitti.
Va da sé che è difficile pensare ad un autentico cammino spirituale senza la guida di un autentico Maestro.
Omaggi a tutti i Maestri di tutti i tempi e di tutte le Tradizioni e un omaggio particolare a Shriman Matsyavatara, Maestro autentico e riconosciuto dei nostri tempi, al suo Maestro, Sua Divina Grazia A.C. Bhaktivedanta Swami Prabhupada e a Shri Shri Radha e Krishna.
Detto da una terapeuta ha una certa rilevanza!
Se proviamo a uscire da quella volgarizzazione della parola libertà per cui ognuno fa “quello che sente di dover fare”, non appare tanto bizzarro riconoscere che ogni forma di apprendimento e/o terapia è una realzione che necessità di una proiezione/transfert.
Ho l’impressione che anche nozioni di tipo tecnico ed impersonale come l’ingegneria idraulica, per esempio, abbiano bisogno per essere ben assimilate di un modello! Almeno questa è la mia esperienza.
QUando ero studente delle superiori avevo grosse lacune nella comprensione della lingua inglese, quando, in seconda, arrivò un insegnante che non era gran che come conoscenza della lingua, ma umanamente mi dette (oltre a numerose gravi insufficienze) la sua amicizia, mi prese il desiderio di studiare la stessa lingua fino ad allora considerata incomprensibilmente barbarica!
A vederlo con gli occhi della tradizione, molto spesso il mondo appare ribaltato, la libertà sembra schiavitù ed il servaggio indipendenza.
Ma sarà un caso che tutte le tradizioni degne di questo nome, da innumerevoli secoli e millenni attribuiscono importanza centrale alla gerarchia intellettuale/spirituale? Lascia perdere che poi, a causa di un degrado (che ho affrontato stamattina introducendo gli appunti alla quarta lezione del secondo seminario di lugio/agosto a villa Vrindavana) che porta all’oscurantismo l’autorità si trasforma in autoritarismo. Certo noi bisogna avere molta attenzione a questo, perché è insito nella natura delle cose e dell’essere umano, ma coltivare la libertà non significa essere completamente indipendenti, significa rimanere autonomi rispetto ad un’autorità di cui riconosciamo l’autorevolezza sulla base di criteri oggettivi e verificabili.
L’alternativa, a mio avviso, è quell’arido individualismo che ben conosciamo e che non ha reso un gran servigio all’umanità.