E di salire al ciel diventa degno

Mi piace leggere ed ascoltare il Mahabharata, soprattutto con i commenti di Matsyavatara (Marco Ferrini), anche se non credo che le vicende narrate siano realmente accadute, o almeno non così come sono raccontate.
Comprendo e non considero una semplice ingenuità che qualcuno percepisca questi racconti come veri, trovo anche che la cosmogonia dell’India classica non sia più stravagante di quella accettata dai tre monoteismi medio orientali, semmai più articolata e variopinta. E qui scatta il riflesso condizionato che mi fa associare il medio oriente a società meno complesse e soprattutto meno affluenti (nel senso di meno “ricche” socialmente ed economicamente) rispetto alla mitica società vedica, quell’India da cui provenivano le spezie e i gioielli, le stoffe e una gran quantità di merci pregiate che viaggiavano insieme alle schegge di una cultura già pienamente matura ed evoluta quando ancora Roma non era che un passaggio da una sponda all’altra del Tevere.
Visto che il riferimento culturale ed artistico per noi occidentali è sempre stata la Grecia classica, e più in là non si va, prendiamo dunque la mitologia greca.
La domanda è: chi pensava veramente che il Monte Olimpo fosse la residenza degli Dèi? Chi credeva che il Minotauro fosse esistito realmente ed effettivamente nato dall’accoppiamento tra un toro e una donna?
Anche ad una lettura superficiale dei classici, appare evidente che l’interesse non è mai sulla reale esistenza delle sirene, dei ciclopi o dei centauri, ma sull’allegoria che essi rappresentano. E proprio ad un’interpretazione allegorica si aggancia solitamente il senso morale del personaggio o della vicenda, Platone lo scrive esplicitamente.
Nel grande affresco mahabhartiano, che io mi raffiguro simile a quello della michelangiolesca Cappella Sistina, rintraccio lo stesso procedere verso l’interno di noi stessi che il mito rappresenta. Il nostro pensiero razionale cede il passo ad una risonanza con qualcosa che c’è già, anzi è questo “qualcosa” che ci viene incontro e, paradossalmente, trasforma la nostra razionalità, o almeno l’ammorbidisce, rendendola capace di metabolizzare, in una modalità che a me appare misteriosa, il senso morale della vicenda.
Certamente non sarà casuale se nei personaggi e nelle storie mitologiche si scontra sempre la luce e l’ombra, il bene e il male, poiché se la pedagogia del mito consiste nel farci incontrare le nostre immagini interiori nutrendo quelle idonee al risveglio morale e, successivamente spirituale, non dobbiamo stupirci delle analogie tra i miti di civiltà diverse e lontane.
L’ascolto del mito, la sua elaborazione ed introiezione è un’attività precipua dell’essere umano. L’uomo non può vivere lontano dal mito, poiché senza una rappresentazione del mondo che spieghi il mondo stesso impazzirebbe. Non a caso nella contemporaneità i totalitarismi, che è un modo per definire i regimi autoritari che s’infilano fin “nel letto” delle persone, hanno tutti tentato di costruire una propria mitologia, di “nazionalizzare” i cittadini con adunate oceaniche (obbligatorie) secondo rituali che si rifacevano a presunte origini “mitiche” o ad un’artificiosa solidarietà di classe. Se oggi ci appaiono tanto evidenti quanto deliranti sia la mistica nazifascista che quella stalinista, non altrettanto evidenti sono quei miti che strisciano sotto la nostra società secolarizzata: quello del progresso, della scienza, della democrazie e mi fermo qui per non sembrare eccessivo.
Nelle società contemporanee una mitologia senza Déi ha sostituito le antiche narrazioni, ma i nuovi miti non sono sufficienti a riempire il vuoto di senso di cui soffriamo. Ora che abbiamo trasformato i mezzi in fini, uno strisciante nichilismo ci affligge e c’impedisce il viaggio nella profondità dell’essere.
Ascoltare il mito fornisce all’uomo contemporaneo gli strumenti per ri-orientarsi, per ritrovarsi dopo che si è smarrito.
Per questo, e molto altro, ritengo che non sia indispensabile aderire né ai testi sacri, né alle antiche narrazioni in senso letterario, piuttosto è utile farne il catalizzatore di una reazione alchemica che depurando la persona delle parti pesanti “di salire al ciel diventa degno”.
Graziano Rinaldi

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