Medicina come Religione

Quando ero bambino i medici, nei loro camici bianchi, mi apparivano come esseri generosi, depositari di saperi esoterici, e se non mi avessero schifato le pratiche troppo corporee e, col passare degli anni, una visione meno ingenua della professione, avrei volentieri dedicato la vita a questa attività.
Adesso che ho fatto tutt’altro, vedo che avevo della medicina una visione “religiosa” e idealista.
L’idealismo si è infranto presto negli evidenti segni di avidità dei suoi rappresentanti, allorché mio padre si ammalò gravemente.

Mi è invece chiaro che sulla trasfigurazione della medicina in una religione e dei medici in una casta sacerdotale gerarchicamente organizzata, avevo avuto una giusta, seppure infantile intuizione.
Se la scienza è un sapere critico, cioè al riparo dai dogmi, che procede attraverso la ricerca empirica per “sensate esperienze” (G. Galilei) permettendo di formulare “ipotesi sensate”, e da singoli fenomeni indurre leggi generali, allora mi sento di poter affermare che la medicina contemporanea molto spesso si comporta da confessione religiosa, piuttosto che da scienza.
Ciò non sorprenda!
Giacché ogni grande idea dell’umanità è stata declinata in un linguaggio verbale e simbolico di tipo religioso.  Detto alla rovescia: il linguaggio umano trova la sua forma primordiale di consenso, accordandosi sui simboli e sul senso del mondo che essi consentono di costruire.
Così, per parlare soltanto di alcune ideologie che affermavano di essere estranee ad ogni forma di religiosità:
Napoleone Primo usò a piene mani simboli cristiani, fino ad identificarsi col nuovo Redentore.
Marx, da bravo ebreo qual’era, procurò al “popolo eletto” (il proletariato), gli strumenti per raggiungere la “terra promessa” (il sol dell’avvenire del socialismo), guidato dai suoi messia (gli intellettuali “organici” alla classe operaia).
Ancora oggi è impressionante la nazionalizzazione delle masse sotto il regime nazista, che attinse a piene mani ai simboli religiosi, anche orientali, ricorrendo a spettacolari liturgie di massa magistralmente organizzate dall’architetto del Furer Albert Speer.
Senza negare la gravità dell’epidemia in corso, da persona che desidera rimanere nell’ambito delle nostre leggi e libertà costituzionali, vorrei sottolineare come sia in corso una trasformazione antropologica in chiave sanitaria di cui forse non tutti scorgono la gravità.
Noto sui media e tra la gente, una continua colpevolizzazione di intere categorie di persone che sarebbero all’origine del tira e molla tra aperture e chiusure.
L’irresponsabilità, il vivere come se niente fosse, l’incapacità di autocontrollo, sarebbero la causa del propagarsi dell’epidemia.
Se sia vero o no qui poco importa. Ciò che importa è  notare come questa idea corrisponda esattamente al binomio colpa=debito applicato al debito pubblico e alla corruzione dei PIGS (paesi dell’UE, Portogallo, Italia, Grecia, Spagna), nomignolo ingiurioso molto diffuso sui media anglosassoni e dei paesi protestanti dell’UE. Secondo questa impostazione, è stato il “vivere al di sopra delle possibilità” e l’incapacità di “tenere i conti in ordine” dei PIGS a creare un debito inestinguibile. Essere indebitati significa dover dipendere dal creditore, nella narrazione economica neoliberista questo significa doversi affidare a chi invece sa essere “frugale” e “preciso”.
Salvo poi scoprire che gli strumenti finanziari coi quali sono stati alterati i conti pubblici in Grecia, furono forniti da istituti finanziari di paesi “frugali e precisi”, nei quali lavorava in posizione decisionale il nostro attuale presidente del Consiglio. Ma questa è un’altra triste storia di una triste Europa.
Riscattare il  “peccato di incontinenza” è però possibile, basta seguire il primo comandamento di questa nuova religione sanitaria: stare a casa.
L’espiazione diventa dunque una pratica quotidiana, fatta di specifici sacrifici e sofferenze che vanno dalla didattica a distanza, all’aumento delle violenze domestiche, ai ricoveri nei reparti psichiatrici, all’impoverimento di innumerevoli famiglie (nell’ultimo anno in Italia un milione(!) di persone si è aggiunto ai 4,6 milioni già in povertà assoluta, fonte ISTAT 2020), ecc.
I sacerdoti massimi promulgano i loro alternanti, confusi e ben retribuiti vaticini dalle reti televisive unificate nel comune sentimento religioso. Al basso clero invece, viene ingiunto di non praticare in “scienza e coscienza”, ma in base ai dogmi protocollari che hanno fatto intasare i pronto soccorso di tutto il paese, contemporaneamente, i sindacati di questo clero proletario, chiedono 10 euro per ogni somministrazione (fonte quotidianosanita.it) del siero deus ex machina: il vaccino-corpo mistico che agirà non più per reazione immunitaria, ma per modificazione genica, come lo Spirito Santo che anima i fedeli a nuova vita.
Come sempre la religione deve occuparsi anche di schiacciare gli eretici.
Suppliziare con “strappi di corda” appartiene al passato, oggi la guerra santa si fa con la censura e l’autocensura della quinta colonna, a partire dai cosiddetti “social”, fino alla signora della porta accanto, solidale col potere centrale come in ogni regime totalitario.  Per riconoscersi tra fedeli ed esporre quale simbolo di pentimento e accettazione della sofferenza auto inflitta, vengono agiti autocertificazioni, amuchina, ma soprattutto la famigerata mascherina.
In questa religione senza trascendenza il nemico principale, il peccato supremo, è ogni relazione sociale troppo fisica. Vietata ogni interazione reale tra le persone, vengono opportunamente raccomandate  le relazioni virtuali dietro uno schermo.
Se le religioni tradizionali prevedevano di creare compagnie di fedeli, alla nuova religione si aderisce per “separazione fisica”, in nome  dell’inavvicinabilità del “prossimo tuo”.
Il mondo ideale di questa religione è fatto di persone che vivono il più possibile separate, che mangiano cibo consegnato a domicilio, acquistano su Amazon, si divertono su Netflix, isolati nello spazio tempo di misure di confinamento senza speranza di redenzione.
Da “ama il prossimo tuo come te stesso” al “ci ameremo tanto più quanto staremo distanti”, ovvero l’apoteosi distorta e malata del liberalismo.

Graziano Rinaldi

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