Attività che cambiano la vita…

fede e sacrificio

Curiosamente le persone immaginano la sapienza come un accumulo di conoscenze e ragionamenti intellettuali, anche se, Inflazionati come siamo d’informazioni, facciamo fatica a distinguere il superfluo dal necessario, l’autorevole dal posticcio.
Avendo avuto la fortuna d’incontrare un autentico maestro spirituale, ho rivisitato l’idea che mi ero fatto della conoscenza e dell’utile, arrivando alla conclusione che, nonostante il mondo stia viaggiando alla rovescia, sia comunque possibile una vita piena e consapevole.
Quali sono dunque i pilastri su cui poggia la realizzazione delle nostre autentiche aspirazioni nel qui e ora?
Tutti infatti desideriamo la felicità, così come vorremmo la diminuzione delle tasse.
Il problema è “come”.
Nel XVII capitolo del testo fondativo della cultura classica indiana, la Bhagavadgita, dopo uno slalom gigante tra la saggezza orientale e la filosofia perenne, vengono gettati cinque plinti, sui quali poggia la piattaforma di lancio verso una dimensione altra per la quale ogni parola sarebbe troppo o troppo poco.
Limitandoci al qui e ora, alla mondanità nella quale scontiamo il bene e il male, quali sono le cose veramente importanti?
Cinque sono gli ambiti della vita da mettere a fuoco per realizzarci davvero, e parranno assai bizzarri alle donne e agli uomini contemporanei.
La fede. No, non si tratta di quello che comunemente si pensa, non è un contratto al buio, bensì un a priori, una necessità dell’animo umano, il quale non può non avere fede in qualcosa o in qualcuno. Tralasciando gli aspetti psicologici, visualizziamoci e visualizziamo le persone che conosciamo: fosse anche nella squadra di calcio, in un leader politico, nella famiglia, nel gruppo di pari, l’essere umano da qualche parte deve comunque riporre la propria fede, è un dato così evidente!
Immaginiamo ora la differenza tra consegnare questo patrimonio (la fede) di energia potente e informe a un santo o a un brigante, a una realtà costruttiva o nichilista. Ne abbiamo viste di fedi mal riposte, strumentalizzate e manipolate, potremmo dire che l’albero si giudica dai frutti, ognuno faccia le sue valutazioni.
Il cibo. C’è una profonda verità nel detto “siamo quello che mangiamo” di L. Feuerbach. Nei testi della tradizione vedica, il cibo non è solo nutrimento per le cellule del corpo, quello che si mangia, come si mangia, con chi si mangia, influisce vigorosamente sulla nostra coscienza e sul nostro benessere o malessere. Argomento gigantesco di cui cito solo una parola che dovrebbe essere la bussola per il cibo e non solo: non violenza (ahimsa).
Il sacrificio. La contemporaneità nell’uso corrente ha prosciugato il significato di questo sostantivo fino a denotare qualcosa di penoso, in realtà il suo significato originario è “rendere sacro” il profano. Sacro è comunemente pensato come qualcosa che ha a che vedere col religioso, è vero, se per religioso s’intende ciò che “rilega” quello che “per l’universo è squadernato”. Noi stessi, come individui, siamo un “universo squadernato”,  scisso. Il sacrificio è una sorta d’investimento quaggiù per ottenere qualcosa lassù che prima di tutto è ritrovare il proprio centro per agire bene quaggiù.
Qual’è l’essere umano che non ricerca le corrispondenze tra sé e l’universo?
Non è questione di divinità o di misteri religiosi, in quanto umani cerchiamo un senso all’esistenza e sentiamo che non possiamo rimanere incollati alla mera esistenza materiale, aspiriamo naturalmente a una libertà e a una giustizia che poi decliniamo come meglio possiamo, ma sempre per ricontestualizzarci con un’idealità profondamente radicata in noi e allo stesso tempo “altra”.
Questo è il sacro e la sua ricerca è il sacrificio.
L’ascesi. E’ strettamente collegata al sacrificio, infatti ha assonanza col verbo ascendere, salire, è uno strumento indispensabile per la nostra evoluzione. E’ anche all’origine di tante nevrosi e frustrazioni, sia in campo religioso che mondano. Certamente per ottenere un risultato è necessario un impegno, una coerenza comportamentale con l’obiettivo che ci siamo prefissati. Se per esempio intendiamo sviluppare il talento nel suonare il violino, è necessario esercitarsi tutti i giorni. La vita stessa per essere semplicemente vissuta richiede in ogni momento di qualche tipo di ascesi, di rinuncia, di austerità.
Donare. Le lingue antiche hanno tutte il caso dativo, non era pensabile l’esistenza stessa senza un dativo! Dare non è semplicemente generosità, è un impulso che anche nei più avari degli esseri umani deve trovare un canale e un oggetto di riferimento, trattenere e marcire in mano è la stessa cosa.
Possiamo constatare che tra i cinque pilastri del paradiso in terra, non si trova né il successo, né il potere, né altre soddisfazioni comunemente credute indispensabili per ottenere la felicità.
L’insegnamento è che se ci approcciamo con consapevolezza e soprattutto con l’aiuto di qualcuno che ne sa più di noi, a queste cinque “necessità” della vita, la stessa diventa più leggera e gioiosa. I “missili” (le disgrazie e gli incidenti di percorso) arriveranno comunque, siamo umani, cambierà però il nostro modi di viverli, poiché saremo sempre più vicini… a noi stessi.
Graziano Rinaldi

Rispondi