L’ira degli Dèi

Nel terzo capitolo della Bhagavadgita, Krishna spiega ad Arjuna che dalla cooperazione tra esseri celesti e umani nasce la prosperità per tutti, il sacrificio da parte degli umani dei doni provenienti dagli esseri celesti, mantiene positivamente attivo questo scambio.
Ho ascoltato autorevoli studiosi della civiltà greca affermare che i greci antichi, per la gran parte non credevano ai loro dèi olimpici nella forma che ci è stata tramandata dalla letteratura, ma essendo un popolo di persone intelligenti e colte, oltre che terribilmente maschilisti e spietatamente imperialisti, riconoscevano nella narrazione mitologica delle caratteristiche impersonate dalle divinità, insegnamenti utili per la loro elevazione morale e spirituale.
La civiltà greca è uno dei due pilastri, quello perdente, su cui s’impernia il sistema di pensiero occidentale, l’altro è quello giudaico cristiano.
Se l’occidente ha posto al centro del suo pensiero la razionalità, se la scienza come la conosciamo oggi è nata in occidente, se la tecnica è così pervasiva e se la globalizzazione altro non è che l’occidentalizzazione del resto del mondo, mi pare ragionevole andare a cercarne le cause nelle culture che l’hanno prodotta.
L’Ulisse omerico è l’incarnazione più prossima del pensiero occidentale, la curiositas che ci contraddistingue, il desiderio di conoscere che si lega con l’ambiguità del conquistare, la penetrante, lucida razionalità che tira fuori dai cul de sac della vita e scivola nell’inganno, il realismo politico e la necessità dell’opportunismo che si propaga da Machiavelli a Hobbes e a tanto pensiero contemporaneo.
Già Dante, che ammira Odisseo, definisce “folle volo” la sfida di Ulisse, che come Prometeo aveva disobbedito a Giove, il primo viene messo dal Poeta all’inferno, e il secondo, nella mitologia greca, finisce incatenato sulle montagne del Tartaro.
La razionalità è un’arma a doppio taglio, con una lama seziona la realtà e la rende comprensibile e “usabile”, con l’altra uccide i corpi vivi e offende le anime individuali e l’anima mundi, va maneggiata attentamente, non possiamo farne a meno.
Mi limito a riferire la mia esperienza che ha valore esclusivamente soggettivo, sincera testimonianza di come sono riuscito ad interpretare la relazione tra umani e Deva di cui ho detto all’inizio.
Agire “in offerta” mi appare una predisposizione del cuore, il manifestarsi di un’attenzione e di una devozione verso le creature e il creato, prima ancora che al Creatore (poiché è più semplice riconoscere la trascendenza nell’immanenza), la consapevolezza, non solo letteraria, di partecipare a questo universo come un pistone partecipa al motore a scoppio che porta un passeggero difficile da conoscere in un luogo ancora più misterioso.
Il “sentirsi parte” presuppone l’umiltà necessaria che tiene sotto controllo il proprio ego, che fa respirare profondo e vedere la sofferenza in chi offende e aggredisce, ma non impedisce la legittima difesa.
La ragione serve, non solo strumentalmente, ma anche nel senso che è “a servizio” di una curiositas che ci può trasformare da “ladri” (definizione della Bhagavadgita) in protagonisti, non è un processo in cui possiamo dividere spirito e corpo, in questo andare dobbiamo portarci dietro entrambi.
Non riesco a figurarmi Indra né Varuna, come non credo che il Dio cristiano sia un uomo attempato e corpulento che ci guarda minaccioso dalle nuvole, ma ho ben chiaro che la nostra stessa esistenza è legata a un sottilissimo strato di una particolare miscela di gas, a una piccola quantità di acqua distribuita in modo diseguale sul globo e a un’infinità di collegamenti tra tutti gli esseri viventi del pianeta e che questo pianeta subisce gli influssi di un cosmo che ci sorprende per la sua immensità.
Indra, Giove, Urano, Varuna sono rappresentazioni che gli uomini si son fatti per decifrare una realtà sovrastante e temuta, in quei culti c’è ancora una relazione a mio avviso sana col cosmo, l’avvento e la globalizzazione del pensiero positivista-scientista ha colonizzato anche il cielo degli Dèi e la sommità dell’Olimpo è diventata la vetta di una montagna alta 2.900 metri.
Nel vuoto in cui son nati quelli come me, a cavallo tra un millennio e l’altro, sarebbe cieco fideismo accettare qualunque mitologia così com’è, però neanche ci accontentiamo più del riduzionismo imperante (sia nel senso di ideologia dominante che di imperium politico militare), serve urgentemente un modo per restituire sacralità a ciò che abbiamo preteso di definire solo misurando.
Impariamo intanto a rispettare queste divinità che, state certi, esistono davvero, nella mia visione non hanno volti umani, non impugnano fulmini né tridenti, ma necessitano attenzione, diversamente saranno guai, i quali mi pare sian già cominciati da molto tempo.
Gli Dèi, per me, sono quella gerarchia di condizioni che regolano l’universo in cui viviamo, se non le rispettiamo, se da smisurati quali siamo, offendiamo il dio delle acque del cielo e quello delle acque di terra, loro si dimenticheranno di noi. Se di un bosco non percepiamo il genio loci e vediamo solo alberi e animali, prepariamo la strada all’offesa, perché presto o tardi ciò che è libero diventerà “io e mio”.
In più constatiamo sulla nostra pelle (ma non mi pare ci sia molta coscienza di ciò e credo che questo dovrebbe essere il compito di chi realizza anche solo un piccolissimo frammento di questa verità), che felicità e trasgressione di regole esemplificate negli yama e nyama di Patanjali come in altri decaloghi (a mio avviso meno precisi e psicologicamente molto meno efficienti), siano inconciliabili.
Il passaggio successivo sarà comprendere che Deva e umani, insieme a ogni galassia di questo e forse di altri universi, partecipano tutti insieme di un unicum da cui solo la follia allucinatoria del nostro egoismo ci ha separato.
A questo proposito consiglio una divertente e breve lettura di Bertrand Russel: “L’incubo di un teologo” che trovate anche a questo link: https://www.riflessioni.it/testi/incubo_teologo.htm
Io credo che impegnarsi nella ricerca spirituale senza confrontarsi con questioni di questo tipo, sia come andare a cercar funghi con un cesto sfondato.
Graziano Rinaldi

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