Il capitalismo come religione

Narrando il Mahabharata, il maestro Marco Ferrini, tra le altre cose, ci sta prospettando anche un’idea dell’universo molto differente da come in occidente ce lo siamo immaginato per millenni. Quando, nella metà del XIX secolo, Charles Darwin propose la sua teoria evoluzionista, fu deriso e combattuto. In Europa in quello stesso momento, stava trionfando l’imperialismo coloniale e l’Inghilterra, patria di Darwin, faceva la parte del leone. Lo scetticismo rispetto alla teoria del barbuto naturalista durò poco, poiché presto venne assimilata dall’establishment l’idea centrale della teoria, secondo la quale gli organismi si adattano all’ambiente attraverso una selezione “naturale”. Non pareva il vero all’aggressivo capitalismo colonialista del tempo (non meno di oggi), avere una sponda ideologica così ben strutturata! Il predominio dell’occidente sul resto del mondo trovava nel darwinismo la legittimazione della sua “naturale” supremazia. Quella che era nata come un’idea per spiegare i processi biologici dell’evoluzione delle specie, presto si trasformò in un’ideologia che verrà applicata non solo nei confronti dei popoli colonizzati, ma anche all’interno delle società occidentali, prendendo il nome di darwinismo sociale.
Il roboante capitalismo della seconda metà dell’ottocento si venne così a costruire una sua religione, trasformando una teoria rivoluzionaria che aveva inflitto un colpo mortale al narcisismo umano, relegando la nostra specie dal centro della creazione alla periferia di un processo biologico determinato dal caso e dalla necessità, a un’ideologia funzionale ai meri interessi economici e all’insopportabile sfruttamento di altri popoli e delle classi sociali subalterne.
Si parla di tre grandi ferite narcisiste subite dall’uomo occidentale moderno. La prima è il passaggio dalla visione geocentrica tolemaica a quella eliocentrica di Copernico/Galileo, la seconda è appunto quella darwiniana e la terza, che verrà da lì a poco, è quella freudiana, per la quale non è l’io razionale che determina il pensiero e l’azione umana, bensì una serie di istanze psicologiche inconsce.
La civiltà che ha prodotto la narrazione mahabaratiana non ha dovuto subire questi attacchi da parte delle scienze positive. Infatti la centralità del pensiero vedico consiste proprio nella liberazione del sé dai condizionamenti dell’ego, mai è stato immaginato un io razionale come fulcro della personalità, al contrario l’ego nella tradizione indiana è l’ostacolo alla piena realizzazione umana, psicologica e spirituale.
Nella tradizione vedica non c’è nessuna traccia di geocentrismo, il pianeta Terra è uno dei tanti pianeti di mezzo che popolano gli  innumerevoli universi di questa cosmogonia.
Anche sul fronte biologico la teoria evoluzionista non soddisfa il troppo grande contenitore tradizionale vedico, nel quale gli esseri umani sono una delle tante manifestazioni della vita in un universo popolato da esseri d’ogni tipo. Ma qui il discrimine non lo fa “il caso e la necessità” darwiniani, bensì il livello di coscienza di ogni singolo individuo. Ciò che per gli evoluzionisti è selezione di specie, qui diventa emancipazione individuale. Il cosmo vedico è popolato da potentissimi esseri che possono essere illuminati o ottenebrati, nessuno però segue un destino di specie, poiché ognuno percorrerà un sentiero individuale che attraverso una serie di reincarnazioni lo porterà in alto o in basso nella scala evolutiva, la quale s’incrocia ma non s’identifica con quella delle specie ipotizzata da Darwin.
A me pare che l’evoluzionismo costruito sui geni e sulla selezione com’è inteso in occidente, non sia inconciliabile con la visione vedica dello spirito che s’incarna in diverse strutture della materia secondo le leggi del karma. Mi pare che la narrazione mahabaratiana prospetti un panorama cosmico talmente ampio ed immaginifico che la biologia evolutiva possa farne parte quale dinamica interna della prakriti, premesso che nella tradizione vedica la centralità è costituita dall’aderenza ad un codice cosmo-etico che è necessario, ma niente affatto casuale. Come ha spiegato infinite volte il maestro Marco Ferrini (Matsyavatara das).
Graziano Rinaldi

Rispondi