Libertà e dovere.

Terza lezione di Marco Ferrini seminario Villa Vrindavana 01 agosto (pomeriggio) 2010

Molte domande/risposte interessanti che si intrecciano con questa breve terza lezione a proposito della reale motivazione che scoraggia Arjuna da compiere il proprio dovere.

Il fatto che Arjuna si preoccupi soprattutto del varna sankara, della confusione dei “colori”, delle caste, provocato dalla scomparsa dell’elemento maschile a causa della devastante guerra che si prepara, ha provocato domande che hanno a che vedere sia con la presunta rigidità del sistema sociale che con quello del maschilismo nelle società tradizionali.

E’ difficile accettare in una società secolarizzata come la nostra l’idea che la nascita non sia un elemento casuale determinato dal combinarsi di un dna maschile con uno femminile, bensì l’esatta conseguenza di un processo evolutivo alla cui base sta la volontà di agire in un senso piuttosto che in un altro. Alla luce del Karma le interpretazioni biologiche cedono il passo ad un ordine universale che tutto comprende e tutto spiega, nel quale troviamo la pura natura e la pura volontà come irresistibili forze al servizio di un’entità che appartiene ad una dimensione tanto reale quanto, paradossalmente, irraggiungibile dalla ragione.

Viene spiegato che la preoccupazione di mantenere una società ordinata secondo una gerarchia socio-spirituale deve essere la principale preoccupazione dei leader, senza il mantenimento dell’ordine infatti non può esservi evoluzione individuale. Questo sembra cozzare contro l’idea occidentale per cui cambiamento è spesso sinonimo di evoluzione. Nelle società tradizionali ciò che invece viene perseguito è la stabilità, perché nella stabilità c’è la possibilità di svolgere bene il proprio dovere e di emanciparsi fino alla liberazione. Questo non giustifica né il maschilismo né il sistema delle caste come lo abbiamo conosciuto nella loro storicità. E’ che mentre in una società dissacrata viene inevitabilmente perso il senso trascendente della vita per agganciarsi a valori mondani, in una società tradizionale molto complessa e socialmente articolata, persino affluente come quella vedica, c’è una precisa finalizzazione dell’esistenza umana verso moksha (liberazione), che rappresenta il gradino evolutivo oltre il quale “non c’è ritorno”. La differenza tra i protagonisti “buoni” del Mahabharata e quelli “cattivi” sta nella loro diversa consapevolezza di essere nel gioco universale del dharma. Non è casuale che Arjuna, eroe di riferimento del poema, sia l’amico più intimo di Krishna: tutti sono devoti a Krishna, ma Arjuna vive la divinità con la spontanea naturalezza di un’amicizia.

Durante tutta la lezione ha aleggiato la questione dharma/libertà individuale, morale/storia, come si possono integrare morale e storia, legge universale e libertà individuale? Mi pare che la risposta sia stata allo stesso tempo perfettamente tradizionale e soddisfacente dal punto di vista razionale: noi apparteniamo solo provvisoriamente e per nostro demerito alla storia, la nostra essenza appartiene ad una realtà altra che non può non tener di conto del contesto socio-storico, ma in ogni momento deve prestare la massima attenzione ad avere rispetto della nostra “vera natura”. E com’è possibile ciò? Sviluppando a pieno la nostra “natura umana”, dalla quale sprigiona la vita stessa e che possiamo anche chiamare anima, Sé, Atman, ma che sempre distingue l’essenza dalla sostanza. Qualcuno si chiederà cosa significhi sviluppare la nostra “vera natura” (qualcuno può anche avere una difficoltà insormontabile semplicemente a parlare di “natura umana”), forse è più semplice attraverso la metafora: un albero dalle foglie verdi può sviluppare la sua “vera natura” se è libero di approvvigionarsi di luce, acqua e CO2, la libertà dell’essere umano consiste nello sviluppare la virtù e la conoscenza, è la virtù che rende liberi, ma senza conoscenza la virtù non regge alle prove della vita: la conoscenza fonda la consapevolezza e la virtù la rende operante. Nelle tradizioni degne di questo nome la virtù ha un nome, nella tradizione che studiamo ne ha ventisei, sono le ventisei qualità dell’illuminato più volte citate da Marco Ferrini nei suoi seminari.

Per concludere, la libertà non è una contingenza, la libertà consiste nell’adesione al dharma, questa condizione fa riacquistare all’essere umano in quanto scintilla divina, la purezza necessaria per compiere il balzo verso quel trascendente che nella tradizione è l’obiettivo di questa nostra vita.

E’ anche vero che ciò che noi non immaginiamo neanche può esistere…

Graziano Rinaldi

Appunti di Graziano Rinaldi direttamente dalla lezione di Matsya Avatara del pomeriggio 01 agosto 2010

Domande

Perché Krishna sale sul carro di Arjuna e non su quello di Yudishtira?

Il capo dell’armata non è Yudishtira ma Bhima, figlio di Vayu e di Kunti, il divoratore feroce di imprese sovrumane, è capace di compiere l’impensabile, è dotato di un potere volitivo indomabile come la forza dell’uragano. Sono tre tipi psicologici diversi. Yudishtira tutta visione, tutto cuore, discernimento, primogenito, re, che nelle formazioni tradizionali non è il comandante in capo delle forze ma il responsabile di ciò che succede, il comandante è per così dire un suo delegato. Arjuna è una figura speciale non di facile comprensione, i suoi caratteri emergono gradualmente. E’ totalmente dedicato al dharma, ma con una maggiore pacatezza di Bhima che è un dilagante e passionale anche se profondamente radicato nel dharma. Arjuna è amico intimo di Krishna, mentre Yudishtira venera Krishna, Arjuna intrattiene una relazione tra pari, fanno molte cose insieme, nessuno degli altri fratelli ha un’esperienza così intima di Krishna.

I due veri nemici in questa guerra sono Arjuna e Duriodan che pensa di potercela fare con Bhima, il vero antagonista per Duriodan è Arjuna. E’ tra Arjuna e Duriodan che si fa la scelta tra prendersi Krishna o l’armata degli Yadava. Yudishtira è un brahmana di cuore ma nato come khsatrya e la compassione da bramano, questa sensibilità così grande, a volte lo trattiene da compiere il suo dovere di kshatrya, è molto interessante che alla fine della guerra la crisi che era stata di Arjuna diventerà la crisi di Yudishtira, preso da una profonda compassione che gli fa venire il dubbio se la guerra sia stata veramente giusta. E’ Vyasa a confortare Yudishtira per superare il momento di compassione paralizzante, consigliandogli un grande  sacrificio. Emblematico è il salire di Krishna sul carro di Arjuna, non è necessario che K. agisca nel tempo-spazio, e Arjuna lo sapeva. A Yushtira viene spiegato come agire per dovere, con spirito distaccato, nella vita ci possono essere più occasioni per imparare lezioni che credevamo di avere appreso, anche se apparentemente vi sono cose che si presentano truculente, violente, ecc. nell’economia dell’universo è nulla, quello che conta è il viaggio, il viaggio di Arjuna e K. sceglie Arjuna per rinnovare la param param che diventa così anche il primo anello di questa sampradaya.

Perché i re sono così attaccati alla progenie?

Intanto Vyasa non è una linea di sangue diretta, avrebbero dovuto essere Vicytravira e Citrangada, in mancanza di loro le vedove vengono fatte fecondare da Vyasa. Ma il punto non è trasmettere l’eredità in quanto capitale, quasi tutti questi re finiscono la loro vita come asceti nella foresta, questo è un punto fondamentale, questi re a un certo punto consegnano il regno ai loro eredi e vanno alla foresta. Non è una questione di figlio come si potrebbe intendere dal moderno diritto di famiglia, è che quel seme è un’elaborazione di esperienza, in quel seme sono entrati tutti i samskara, tutti i portati di tipo psicologico, emozionale, intellettivo, tutto è dentro a quel liquido seminale, ma poi ci sarà l’ambiente che formerà la persona, gli antichi veggenti sapevano che il dna non è sufficiente per formare una persona, occorre il dharma che regna nell’ambiente, ecco perché questi matrimoni avvenivano tra persone che avevano lo stesso varna, gli kshatrya erano  temprati a quel tipo di sforzi, di esperienze, erano pronti a giocarsi la vita per sostenere il dharma, in un altro varna non avrebbero trovato con facilità persone di questo tipo. Non c’era una preoccupazione di non-consanguineità, quanto di mantenere la continuità dell’eccellenza nel dovere, la competenza, l’adikari, che il re fosse competente. E’ interessante sapere che in questa tradizione il monarca prende il 75% del karma di tutti i sui sudditi sommati e lo paga lui, come il guru paga i debiti dei discepoli, quindi che la loro vita sia al completo servizio del dharma, ci spiega perché ci fosse tanta attenzione al governo dello stato, è una funzione senza la quale non si dorme la notte. I brahmani sono quelli che orientano il re nelle scelte; vi è il caso, rarissimo nelle scritture, di re Vena che avendo calpestato il dharma viene condannato a morte dai brahmani, ma subito dopo che il re è morto capiscono cosa stanno rischiando, che la sopraffazione, l’abuso invaderà lo stato e quindi si preoccupano di trarre un nuovo re dalle membra del re morto e sorge una grande personalità, re Pritu che nasce assieme ad Arci, la sua consorte, e insieme ristabiliscono il dharma.

Prima si tenta con la prole di chi fu un valente monarca, poi se non c’è la possibilità si tenta con la fecondazione da parte di saggi delle principesse per ricreare una dinastia degna del ruolo. Ci sono molte occasioni per ristabilire l’ordine e gli kshatrya sono essenziali per il mantenimento del dharma.

Jati la nascita, fornisce strumenti importanti ma non sufficienti, come ha lungamente tentato di dimostrare Siddhanta, in una società appiattita sulle caste.

Su Karuna e kripa.

Karuna è compassione è sentire risuonare in noi il disagio degli altri.

kripa è la carità, quando c’è compassione c’è anche la volontà di aiutare, questa volontà è la carità, kripa.

Neanche Dio può far cambiare idea, quindi come conciliare l’adempimento del proprio dovere col libero arbitrio di un altro che si oppone?

Il terreno è scivoloso, il confine è incerto e la prudenza non è mai troppa. K è andato alla corte dei Kaurava ha incontrato Duriodan in uno stato di superbia e di arroganza tale che nonostante Krisha avesse tutta l’intenzione di scongiurare una guerra così iniqua, si è reso conto che Duryodan voleva altro. K avrebbe potuto annientarlo con uno sguardo, ma K non agisce così, Dio permette a tutti noi di fare le nostre scelte, non vuole delle persone in catene che domina con la forza e obbliga ad accettarlo come Signore, o come guida. K. insegna col suo modello, caratterizzato da una forte componente di fascino derivante dall’essere signore del distacco. Duryodan avrebbe voluto addirittura arrestare K, ma solo un devoto può arrestare K, K è tutto, è il sostegno di tutto, nella sbornia di desiderio di potere dei Kaurava K viene scambiato per un essere umano. Così K ha la sua modalità per ostacolare i piani delle persone, lascia che esprimano la loro volontà e facciano le loro scelte e lascia che da un universo dominato da guna e da karma, perfettamente organizzato a fornire le reazioni alle loro azioni, ne derivino le conseguenze: ognuno si pone nella propria posizione in base alle scelte che fa. Come un padre terrestre è responsabile degli atti dei figli e in quella misura può intervenire, ma deve anche rispettare in altissima misura l’autonomia delle scelte del figlio, quindi se su 100 iniziative del figlio minorenne e due debbono essere corrette perché il padre ne è responsabile, deve spiegare bene al figlio che il padre deve intervenire perché da lì a pochi anni il figlio sarà totalmente responsabile e il dharma di padre cesserà e il dharma di figlio da un livello a decisione limitata passerà a uno a decisione piena. Noi, in qualunque posizione si sia, possiamo esprimere preoccupazione se vediamo qualcuno che cede al vizio o a comportamenti adharmya, ma non ci è permesso farci carico delle responsabilità di altri, perché priviamo glia altri della possibilità di evolvere, noi possiamo consigliare e delicatamente suggerire con amorevolezza che sono anche le uniche modalità a risultare efficaci, altrimenti le persone si sentono soggiogate, non si sentono libere di esprimersi. Noi non possiamo sostituirci alla persona che si comporta scorrettamente, perfino K alla fine della BG dice ad Arjuna di fare le sue scelte, e richiede un grande distacco, perché la debolezza consiste nel volere che la persona faccia quello che noi vogliamo, perché siamo attaccati, perché abbiamo paura di perderla, questa è la nostra debolezza, ecco perché le scritture celebrano la centralità del distacco emotivo: non significa essere privi di emozioni, ma impedire che queste emozioni ci travolgano, che non ci impediscano il compimento del nostro dovere, la sensibilità e il dolore c’è ma questo non annebbia la nostra visione e non annienta la nostra volontà.

Continua la lezione:

Ci sono diverse preoccupazioni da parte di Arjuna. La prima è varna sankara (confusione dei varna, prole indesiderata) ovvero nascono figli non da una progettualità per conseguire lo scopo dell’esistenza, ma dalla ricerca del mero piacere, casualmente, e diventano fonte di rovina per la società. Uccidendo questi guerrieri, quindi cadendo l’elemento maschile, chi farà l’offerta di pinda e shradda? riti che gli hindi offrono agli antenati, è detto in tante scritture che l’ascesa verso la destinazione finale è ritardata o accelerata da chi resta sulla terra. Chi lascia una prole malvagia ha un’ascesa difficile nel viaggio post mortem, chi lascia una prole che offre doni ai defunti facilita il loro viaggio. Quindi non è secondario cosa si lascia sulla terra. Se ci preoccupiamo di educare questi figli affinché conducano una vita costruttiva, che abbiano a cuore il raggiungimento della perfezione, il nostro viaggio sarà facilitato.

L’uomo moderno è appiattito su quell’unico segmento di vita che va dalla nascita alla morte che non ritiene debba esserci niente prima della nascita né dopo la morte, ma questo è scientismo non scienza! Tutto il messaggio della BG è che noi esistiamo da sempre e per sempre quindi le nostre azioni con le loro conseguenze ci condizioneranno nel bene e nel male. Qui Arjuna si riferisce all’impossibilità di onorare i defunti. Si dice nei dharma shastra che i figli nati come “incidenti di percorso” sono causa di turbolenza sociale, quindi Arjuna dice cose vere, ma al fine di non combattere. Ma le ragioni che porta sono le vere motivazioni per non combattere?

K. svela che questi sono ottimi alibi, costruiti con la verità  per sottrarsi allo scontro ma non sono le vere motivazioni. Ad A. questa battaglia, questo viaggio costa, ma è il prezzo che A. deve pagare.

domande:

Cosa distrugge la famiglia nell’odierna società occidentale?

Ciò che distrugge una famiglia distrugge prima di tutto un’amicizia. Ci sono slealtà che portano alla disgregazione di qualsiasi legame sociale, l’inganno è il fondamento della disgregazione, chi percorre la via della trasparenza trova intese anche se su posizioni diverse. Questa capacità di dialogo, di muoversi secondo parametri che rispettino l’integrità della persona, previene la disgregazione e vale a tutti i livelli. Il rispetto ci deve essere in tutto, nei pensieri, nel cibo, in tutto, questo rende il corpo fisico, il corpo sociale, la famiglia, forti, se noi lo debilitiamo con le menzogne, con l’inganno, con la permalosità allora… ogni chiarimento rafforza le relazioni di tutti i tipi, avere il coraggio di arrivare al chiarimento e avere il coraggio di prendere chiaramente le distanze quando necessario.

I familiari delle giovani coppie in India decidono il matrimonio, che ne pensa da uomo occidentale?

A volte i genitori scelgono meglio dei figli, ma io non sceglierei mai al posto dei miei figli. Bisogna capire in questa selva oscura di innovazioni che piombano i giovani in tenebre ancora più oscure e tra innovazioni luminose. Ci sono vere emancipazioni e pseudo emancipazioni che sono nuove forme di schiavitù e dipendenza. L’occidente ha occidentalizzato tutto il mondo, oggi è difficile identificare cos’è l’oriente, ma ci sono sapienze straordinarie da recuperare, come ce l’ha l’occidente. Chiediamoci se lo spirito occidentale va bene, se risponde ad una quantità di domande esistenziali, se va bene buttare tutta l’occidentalità, oppure se non ci siano cose molto preziose da conservare, e questo vale anche per l’oriente. L’uomo non è né orientale né occidentale, come non lo è l’oceano e il vento. Dobbiamo ricercare le caratteristiche dell’uomo universale che ha bisogno dell’introspezione molto più coltivata in oriente e dell’analisi oggettiva delle cose che negli ultimi secoli è stata più coltivata in occidente. Non dobbiamo “inghiottire” né l’oriente né l’occidente, dobbiamo avere molta attenzione per recuperare le sacche di sacro che rimangono.

Relazioni extraconiugali per le donne come fosse  un diritto.

L’argomento riguarda le mode, i comportamenti, le cosiddette “libertà”, un’intera categoria che non può essere analizzata solo con una voce. Gli anni 70 sono il periodo storico in cui insorgono e prorompono nella società queste richieste di libertà, ma non sono completamente ex novo, perché la società ha già vissuto promiscuità familiari anche al tempo dell’impero romano per esempio che mostrano come in realtà la famiglia non sia stata così inviolabile anche in tempi antichi. C’è una vastissima letteratura francese del III impero che parla della corruzione e della degradazione dei costumi. Non c’è niente di nuovo sotto il sole, la società non è mai stata immune da devianze ancor più che deviazioni. La moralità nasce dal comportamento, dall’uso comune, quella che prima era devianza poi è diventata consuetudine, il mattatoio era visto come un orrore prima di Nerone, poi viene addirittura costruito un edificio all’uopo dentro la città, prima un animale si uccideva o per sacrificio o in privato per non ammorbare l’ambiente. Se quel disegno nazional-socialista avesse attecchito, perseguitare minoranze etniche e distruggerle sarebbe stato accettato: consuetudine, come leggi razziste hanno reso legale l’eliminazione fisica di minoranze in molti paesi europei durante gli anni ’40. Non dobbiamo mai identificarci col periodo storico in cui viviamo perché in realtà noi non apparteniamo a questo lampo di storia, noi non siamo identificati con la nostra data di nascita, non lasciamoci ipnotizzare dalle mode del tempo in cui viviamo. Noi dobbiamo tenere di conto del contesto, ma bisogna mantenere un equilibrio nostro, cerchiamo di avere un nostro centro e dovunque andiamo portiamo rispetto, ma dobbiamo mantenere un nostro senso. Movendoci in questo vasto mondo troviamo tanti modi di vivere, tante convinzioni, bisogna saperci confrontare senza sopraffazione e senza veemenza e poi lasciare libere le persone di fare quello che vogliono. Non abbiamo il diritto di dire ad una ragazza spaventata di non abortire, noi possiamo dire che non condividiamo. Per esempio sulla pena di morte Marco Ferrini afferma di essere profondamente in disaccordo perché le persone sono talmente ignoranti che non concepiscono la vita dopo la morte, nelle società tradizionali in cui c’è la pena di morte è perché avevano a che fare con persone che erano molto coscienti di una vita post mortem, non c’è cultura, magistrati, moduli educativi sufficienti che possano assicurarci che la persona sappia che cosa gli accade con la morte, la gente semplicemente non sa e quindi non si può condannare a morte.

Certe libertà appaiono come soluzioni ma sono pseudo-soluzioni, ma che altro possiamo fare se non esprimere il nostro dissenso? Che ci sia stato un maschilismo brutale sia in occidente come in oriente è innegabile, e che il movimento femminista sia una reazione a questa azione si può comprendere, ma due errori non sono meglio di uno: il maschilismo è un esercizio di potere devastante, tanto più che chi oggi indossa un corpo maschile non è mica detto che nella prossima indossi un altro vestito. La verità è che siamo tutti compagni di viaggio, soltanto coloro che vedono con benevolenza chiunque altro sono in un trend evolutivo, solo coloro che trattano tutti con compassione e misericordia con spirito di perdono anche le persone malvagie sono in un trend evolutivo. Bisogna sganciarsi dalla “moda” e fai quello che devi fare, non ci sono uomini e donne, ci sono anime spirituali!

Come giudicare se il nostro giudizio su bene/male sia veramente coerente col dharma?

Tre considerazioni. Non è che la mente decide per noi è che la mente mette in moto un processo di distorsione, la mente non è una personalità, ma una lente che distorce, opacizzata. La sadana serve per tenere la mente in uno stato di pulizia che non distorca la visione. La saggezza con cui possiamo prendere le decisione è ostacolata solo dai samskara che ci siamo creati, ecco perché quelle che sembrano le nostre decisioni non sono realmente nostre. Come l’ubriaco non riesce a vedere il buco della chiave così bisogna astenersi dall’alcool per tornare a vedere chiara la toppa.

Poi il bene e il male sono concetti molto complessi: non c’è bene all’interno del trimundio che non abbia un risvolto di male e viceversa, il bene e il male ordinari sono inscindibili, quando vedi il male è perchè non sei capace di vedere il bene e viceversa. Questo ha dato del filo da torcere ai commentatori di Dante perché non capiscono che il sommo bene di cui parla non è quello transuente. Le gioie e i piaceri della vita incarnata sono così effimeri che sono tutti sullo sfondo della sofferenza, qualsiasi vita sana termina nella vecchiaia e toglie ogni senso alla vita incarnata (la storia della Sibilla Cumana). Quello che noi collochiamo come bene e male è tutto all’interno dei guna e quindi non troveremo mai un equilibrio, una volta il bene si presenterà come male e viceversa, la lezione della Bg è che noi ci possiamo riferire al bene assoluto che non risente più delle oscillazioni del bene e del male: shuba ashuba. Collocare il nostro bene come l’apice evolutivo, lo sviluppo dei sentimenti dell’amore attraverso la pratica della virtù.

Arjuna pratica gli insegnamenti che ha ricevuto, perché uno potrebbe anche ricevere gli insegnamenti ma non metterli in pratica. Arjuna lascia le sue opinioni e si abbandona a K a partire dal II capitolo, prima si dichiarava discepolo ma voleva fare come gli pareva, poi diventa veramente discepolo. Arjuna capisce che c’è qualcosa di più esteso che porta il bene a tutte le creature, non combatte più la sua guerra per i piaceri mondani ma per valori universali, perché è il suo swadharma, con distacco dalla vittoria e dalla sconfitta. Tenere di conto ma non dipendere da, il comportamento degli altri non deve travolgere né stravolgere la nostra sadana, il ricercare, la virtù, la compagnia giusta, praticare costantemente la virtù e lavorare per acquisire conoscenza, praticare persone in marcia verso la perfeziona e orientarsi sui loro comportamenti: la perfezione non è dietro l’angolo, ma neanche così lontana da far disperare.

La perfezione non è un’entità oggettiva, è un tendere verso, dobbiamo cercarla in ogni desiderio, in ogni parola, in ogni azione, la perfezione è questione di ogni momento, di ogni scambio, di ogni rapporto, bisogna abituarci alla perfezione come alla felicità, esse ci appartengono: è qualcosa che si conquista passo dopo passo, pensiamo alla perfezione in ogni momento, attimo per attimo, senza però sentirsi nevroticamente perfetti.

Fine

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