08. Infine la vera libertà.

(Ottava ed ultima lezione introduttiva alla Bhagavad Gita di Marco Ferrini ) 

Poteva essere l’introduzione del seminario, ma sarebbe stato difficile entrare nel sentimento che guida queste parole. Nei testi della tradizione c’è la tendenza ad esporre all’inizio l’obiettivo del trattato per poi svilupparlo nei pada successivi, emblematici a questo proposito gli Yoga sutra di Patanjali.  Il Maestro ha qui scelto una via di mezzo, ha prima definito la cornice concettuale e socio storica della Bg ed infine ha dato conto della sua utilità dal punto di vista della realizzazione spirituale.  Possiamo vederla anche come una dichiarazione di onestà intellettuale, un avviso ai naviganti in “piccioletta barca” che gli strumenti offerti dalla BG, i quali saranno esaminati dal prossimo seminario in avanti, possono essere utili per riarmonizzare la propria esistenza, per sopportare meglio le avversità della vita, per migliorare le relazione e persino per diventare delle persone meravigliosamente buone e belle. Ma per questo forse potevamo anche non scomodare una tradizione di così alto lignaggio, lo promettono anche molte nuove scuole di pensiero nate sul disastro del materialismo degli ultimi secoli. In questa ultima lezione Marco Ferrini  ci avvisa che lo scopo della BG non è di renderci migliori, quella è una conseguenza del seguire i precetti indicati, definiti dal Matsyavatara “stampelle”; no,  qui ci viene detto che c’è una materia pesante da cui uscire per volare alla “settima valle”, che ogni desiderare, sentire, agire non appartiene alla nostra natura più intima, ma ad una serie di automatismi che vanno superati, dopodiché quegli stessi desideri, sentimenti e azioni, vivranno in un cielo nuovo, nella leggerezza della libertà dalle risposte automatiche agli stimoli della materia, dove per “materia” si intende anche la psiche umana che ancora conserva legami con la dualità attrazione-repulsione.

L’interpretazione che il Maestro dà della BG è in chiave bhakta e non certamente jnana o karma, eppure il suo strumento è l’intelletto (buddhi) e l’applicazione è nell’azione perfetta (karma), è l’utilizzo strumentale dell’intelletto e dell’azione finalizzate al raggiungimento di un sentimento di comunione col Divino, di ri-unione della parzialità della natura umana con l’incomprensibile totalità divina che caratterizza la bhakti. E’ la ricontestualizzazione nell’universo di cui l’essere umano è sì una momentanea increspatura, ma ha un proprio senso ed identità. Non è la via dell’ascesi quella della bhakti, ma presuppone la “conversione” dei sensi al “controllore dei sensi”, in ciò è l’ascesi più alta, quella che sta all’opposto dell’egoicità. Per questo il Maestro mette in guardia da facili ottimismi, onestamente sa, ha conosciuto le innumerevoli difficoltà, le salite da far scoppiare il cuore e la gioia di lasciarsi andare in discesa col sollievo del vento fresco che ristora e l’aria profumata che riempie i polmoni: è un’impresa meravigliosa e terribile, come lo è la nostra duplice, paradossale natura.

Non ci chiede la perfezione, ce la indica e al contempo ci insegna il metodo per raggiungerla, con quel rispetto del libero arbitrio che rende così caratteristica questa via.

Graziano Rinaldi

Divinità, umanità e natura.

di Marco Ferrini

Appunti  direttamente  dalla lezione a cura di Graziano Rinaldi

Ottava e ultima  lezione

5 aprile 2010 mattina

            Baktir Bhavaty Nastyki è il punto di svolta della personalità, il momento in cui essendo precipitati tutti gli elementi grevi della personalità, risplende la luce dell’essere e la bhakti è diventata un fenomeno irrevocabile: i condizionamenti sono stati destrutturati, le qualità dell’anima rifulgono e la realtà si presenta come uno spettacolo affascinante di per sé, come parte della coscienza. In questo stato la coscienza percepisce la natura, il creato e il Creatore come parti di una onnicomprensiva realtà, viene ricostituito l’insieme, quell’Uno che è Dio e di cui siamo parte inseparabile e che solo per un gioco di specchi di condizionamenti avevamo interpretato come un interesse separato.

La reintegrazione di questo interesse condiviso è lo scopo della BG, è un’esperienza per l’eternità, anche se le persone hanno difficoltà ad entrare in una dimensione eterna per via dei condizionamenti che gli mostrano un’infinita frammentazione delle cose nella quale vivono, sperano, si illudono, si aspettano ciò che non potrà venire dalla materia perché non è lo scopo della materia fare la felicità. Nella frammentazione delle cose determinata dai condizionamenti, le persone si illudono aspettandosi felicità dalla materia. La materia è una straordinaria opportunità per fare il nostro gioco, ovvero per poter esprimere i nostri desideri di realizzazione spirituale, per cogliere tutte le opportunità di ripristinare la nostra Salute.

Lo scopo della Gita non è settario, non si parla di  una religione, neanche della religione bhagavata, ma di diventare coscienti e di legarsi in un rapporto creativo con Dio. L’amore è il rapporto più creativo, chi ama veramente è creativo; più l’amore è scevro da aspettative egoiche, più è in grado di assorbire tutti gli elementi che possono entrare nella psiche, la quale diventa una rete saldamente nelle mani del pescatore, e non una rete nella quale il pescatore è impigliato. Nell’esperienza liberata il soggetto utilizza la psiche con tutti i suoi contenuti per esprimere la sua libertà, quelle che prima erano pericolose passioni diventano preziosi strumenti di espressione della personalità liberata.

Qui è l’importanza di Caitanya (1486-1534), forse nella storia della religiosità è una delle figure più espressive della vita liberata, del devoto autentico, modello delle nostre vite. Le passioni che altrove erano causa di contaminazione, nel modello del devoto liberato diventano espressione della sua personalità e potentissima luce di riferimento per chi ancora ha passioni fuori controllo. La bhakti della BG non è ancora la bhakti di Caitanya ma ne è il fondamento, fornisce strumenti indispensabili, dà i fondamentali per costruire e sostenere il processo di purificazione, ma l’estasi che troviamo nella vita di Caitanya travalica l’insegnamento della Gita pur confermandolo e conferendogli autenticità attraverso il modello di successo di Caytania. Nella Gita c’è ancora un sentimento compassato, una disciplina, un badare a una varietà di fenomeni, c’è ancora un posto per la conoscenza, per la tapassia, per il sacrificio, per la distinzione tra brahmani e non brahmani, anche se c’è un invito a superarle, ci sono ancora queste distinzioni. Nella vita di Caitanya queste distinzioni non ci sono più, tutto diventa funzionale a travalicare le differenze create dall’influenza dei guna per l’unico scopo della vita, l’amore.

Il Bhagavata purana è più vicino all’insegnamento, alle opere e alla vita di Caitanya, sebbene egli abbia chiesto ai sui discepoli di fondare templi, scrivere nuovi commentari, ma decisamente ha insegnato che il fine dell’esistenza consiste nel vivere l’amore per Dio con tutte le passioni, tutti i sensi. Sembra un paradosso: dopo aver regolato i sensi a lungo il bhakta ne torna poi in possesso, il lavoro di destrutturazione dei samskara ha reso i sensi divini, di Krishna, non sono più strumenti di condizionamento, i sensi tornano ad essere quelle facoltà dell’anima che permettono di entrare in rapporto con Dio con tutta la creatività ed immaginazione, a 360 gradi. Questo è il punto di arrivo e ognuno è ad una tappa diversa, ma è importante avere chiaro il traguardo, avere conoscenza dei mezzi e purificare costantemente la motivazione, perché le motivazioni con le quali noi incominciamo il percorso sono di una natura per la quale una volta soddisfatte noi non troviamo più la ragione di rimanere nel percorso, ciò che ci mantiene in marcia è la costante purificazione ed innalzamento delle motivazioni, altrimenti la caduta è certa. Le motivazioni iniziali per cui uno si immette nella ricerca spirituale sono spesso disastri della vita che una volta superati è facile che le persone ritornino nel gioco al massacro della vita incarnata.

Viene narrato il racconto del mistico sufi Attar del XIII sec. … la storia del viaggio dei trenta uccelli verso il regno indicato dall’upupa.

Molti quando iniziano il viaggio pensano scioccamente di rimanere sempre in bella compagnia, ma la realtà non è così, senza giudicare bisogna capire cosa succede agli uccelli che si fermano nelle valli, esistono molte ragioni per le quali quegli uccelli si fermano, la BG ci esorta a rialzarci subito e dice che chi si rialza subito deve essere considerato un santo.

Non dobbiamo sorprenderci delle debolezze, esse sono strutturali nell’animo umano. L’essere umano è squinternato, come un  libro senza rilegatura, le pagine sono nella metafora le parti della psiche e la rilegatura sono le pratiche religiose, le regole che ci permettono di riordinare la personalità; noi ritroviamo la libertà ri-disciplinandoci, questo riporta alla completezza, perché noi nell’ultima valle c’eravamo già e secondo tutte le tradizioni noi siamo caduti da quello stato a causa  delle impurità che ora ci bloccano. In ogni valle ci sono “sirene”, le nostalgie che sono causa di cadute, non rinnegare il passato ma imparare dal passato per guardare al futuro in umiltà, nell’inorgoglimento la caduta è certa. Dobbiamo realizzare la nostra natura di servitori, allora abbiamo fatto oltre il 50%, prima dobbiamo diventare nessuno, dopo, pian piano si ricostituisce la nostra personalità autentica, quella spirituale: bisogna diventare nessuno sul piano materiale per diventare qualcuno sul piano spirituale. Non è facile applicare i principi della Gita nella vita, ne succedono di tutti i colori sia per chi ha adottato la Gita sia per chi non l’ha adottata, la vita riserva prove a santi e a briganti, ma se adottiamo questo modello comportamentale, di pensiero, emozionale, etico, cosmo-etico, allora sappiamo che l’universo non ce l’ha con noi, ma opera per la nostra elevazione e noi ci dobbiamo mettere in armonia, in sintonia con le leggi etiche che lo governano, ricercando il bene e il buono per gli altri, altrimenti si costruisce sulle macerie, non si può costruire il nostro bene sul male degli altri. Il bene comune: non c’è il bene mio contro il bene suo, non c’è differenza nel bene, ecco perché la Gita ci induce ad un comportamento che tenga conto di queste verità fondamentali che ci dà come modello sattva da raggiungere prima ancora di superarlo, sattva va raggiunto e praticato e dopo si può trascenderlo. Gli strumenti forniti (es. Maha mantra) non funzionano se non si vive in sattva guna, l’efficacia si comincia a sentire quando siamo in sattva guna, che è una “valle” da superare, ma bisogna prima arrivarci, così dal bene si consegue il “sommo bene”, ed è bhakti come frequenza dell’essere, la modalità in cui si agisce, si dorme, si sente, si agisce o ci si astiene dall’azione, ma non si può imporre sulla mente artificialmente. All’inizio il Mahamantra è strumento per togliere la polvere dalla psiche, all’inizio funziona come una pulizia sommaria, per le cose più grosse, ma poi c’è tutto il lavoro di rifinitura da fare e può durare anche diverse vite.

La Gita fornisce gli strumenti per scongiurare il pericolo di rimanere irretiti in qualche “valle”.

Questo sentiero lascia molti “morti”, a volte si fa stretto, scivoloso, a volta bisogna camminare carponi, resistere al vento, alla corrente e proseguire a passo svelto non appena le cose si aggiustano. Chi ha responsabilità verso gli altri deve mettere in guardia, poi si può gioire in qualunque momento ma sempre ricordando la méta, senza pensare di essere arrivati, senza abbandonare la disciplina, i principi regolatori che sono il fondamento. Si può praticare a qualsiasi livello, ma nell’incompletezza della disciplina c’è instabilità, ci dobbiamo dare una disciplina altrimenti pratichiamo esteriormente ma non facciamo un reale progresso spirituale. La Gita va praticata, ognuno può fare quello che può e tutti devono essere incoraggiati, ma chi vuol fare sul serio, chi ha intrapreso la via iniziatica… i voti non sono un optional, è vero che se i voti vengono rotti possono essere anche riparati, ma è meglio non romperli. La Gita fa i conti con la fragilità umana, nel Mahabharata ci sono eroi e yogi che si contaminano, che cadono, non pensiamo dunque di aver sistemato tutto il passato, con umiltà cerchiamo di salire gradino per gradino la scala evolutiva. La BG è uno strumento efficacissimo, attraverso modelli comportamentali, emozionali, ecc. e quando le cose le sappiamo siamo immensamente avvantaggiati, però non siamo arrivati. Abbiamo strumenti per purificare le nostre relazioni, per rendere perfetta ogni cosa nella nostra vita ed è questa perfezione lo scopo della vita!

A cosa serve la sofferenza?

Per farci capire che questo non è il nostro posto! Non è il posto dove vivere, dove “farci il nido”.

Alcuni peccano perché si sentono troppo fragili e pensano di non farcela a raggiungere la “settima valle” e per la fragilità demordono; altri capitombolano perché si sentono troppo forti; di nuovo l’insegnamento della Gita è di mantenere sobrietà, fragili per la nostra componente prakritica, materiale, per le tendenze i condizionamenti, e forti perché sapendo che offrendo la nostra vita a Dio, operando costantemente per il bene degli altri, aiutando gli altri a salire la scala evolutiva, ci possiamo sentire forti, capaci di farcela, si chiama fede (shraddha) nelle risorse spirituali a disposizione e insicuri del sostegno dei nostri mezzi materiali, di non fare troppo conto sulla nostra erudizione, sui mezzi materiali, sulla salute, ecc. questo è un terreno insicuro. L’intelletto può essere portato via in un attimo dalle passioni, dai desideri materiali, dobbiamo far conto sul gusto sviluppato nella realizzazione spirituale, nella fiducia che agendo bene non si deve temere niente, che operando nello spirito dell’offerta siamo protetti da Dio.

Chi fa anche pochi passi in questa direzione evita la paura più terribile.

Dobbiamo stare attenti a non smarrire il senso del viaggio che è questa vita.

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